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The Boy and the Beast

Pubblicato il 11 maggio 2016 da Veronica Flora
VOTO:


The Boy and the Beast

L’orso è una breve opera teatrale di Čechov, la storia di una giovane vedova che, dopo la morte del marito, si chiude in casa giurando di non voler avere più niente a che fare con gli uomini. La reclusione volontaria e la sacralità del lutto vengono bruscamente interrotte dall’arrivo di un ex sergente d’artiglieria che viene a esigere un credito nei confronti del marito defunto. Il rifiuto di lei di pagare e la volontà di lui di ottenere quanto dovuto scatenano una vera e propria guerra, fino a quando dall’antipatia e dall’intolleranza reciproca nasce, improvviso e inaspettato, un autentico sentimento d’amore.
Cosa c’entra la bizzarra storia d’amore di Cechov con l’anime giapponese The Boy and the Beast di Mamoru Hosoda in questi giorni in sala? Molto di più del semplice titolo che rimanda a uno dei protagonisti principali del film. Qui, il protagonista, un bambino orfano di madre, il cui padre è misteriosamente scomparso, si perde per le vie di Tokyo, ritrovandosi in un mondo parallelo dove incontra Kumatetsu, creatura guerriera dalle fattezze di orso che aspira a diventare il prossimo Venerabile Maestro del pacifico regno in cui vive. Kumatetsu troverà in Yuta, come decide di chiamare il ragazzo, l’allievo che cercava, mentre il giovane, attratto dalla rudezza e dalla forza di Kumatetsu, non potrà fare altro che seguirlo. Il loro rapporto comincerà così a nutrirsi senza tregua dello scontro continuo, eppure paradossalmente fertile per entrambi, delle due irriducibili asprezze e incomunicabilità. La guerra è dichiarata.
Ci sono due città, o forse una sola. Da un lato una metropoli giapponese, una Tokyo fatta di uomini e donne che camminano senza che si riesca a intravederne gli occhi, perché totalmente indifferenti a ciò che accade accanto a loro; dall’altro una città che sembra nord africana, una Marrakech depotenziata, con il grande mercato della piazza Djema el-Fna al centro e le piccole case dalle terrazze piatte dove si vive, si stendono i panni. Due mondi e due solitudini. O forse un solo mondo e una solitudine singola che è quella dell’essere umano davanti a se stesso, come Achab in piedi di fronte alla balena bianca, altro riferimento forte ed esplicito nella narrazione. L’immaginario degli anime giapponesi è sempre incredibilmente complesso e naturalmente ricco di riferimenti culturali vari e eterogenei, dalla letteratura alla psicologia, dal teatro al folklore popolare. In questo caso l’ispirazione diretta arriva, per ammissione stessa del regista, dal patrimonio di fiabe giapponesi e cinesi - come nel caso della leggenda del Re Scimmia da cui hanno avuto origine i personaggi di Hyakushubo e Tatara, compagni di viaggio di Kumatetsu - e da quello della favola europea dalle molteplici forme de La bella e la bestia, in particolare nella versione global della Disney e in quella cinematografica di Jean Cocteau del ’46.
Anche qui un’altra storia d’amore.
Anche se si tratta di una relazione che nasce tra un bambino senza genitori e un individuo senza figli, entrambi in lotta con un mondo colpevole ai loro occhi di averli condannati alla solitudine, le modalità di approccio e interazione tra i personaggi sono simili sia a quelle tra Belle e la Bestia che tra i personaggi cechoviani. L’amore nasce dal conflitto, dalla divergenza tra caratteri indomabili, burberi eppure nel fondo onesti e autentici. I due protagonisti si annusano, si irridono, si feriscono. La guerra è un gioco parecchio violento che avvicina i corpi e, in un modo sfiancante e perverso, può favorire il confronto, la sovrapposizione, l’attrazione. Sia che si tratti di eccentricità o mostruosità che marca la differenza, sia che, come nel caso di Čechov, si tratti di una veletta sul volto in segno di lutto che separa dal mondo: maggiore è il muro che separa, maggiore sarà il desiderio che lega. Mamoru Hosoda non accenna un ragionamento ma lo conduce fino in fondo. Anche troppo. Passa dai padri ai figli, dai figli ai padri, senza lasciare nulla al caso. Forse proprio nel tentativo di tenere in piedi l’imponente struttura narrativa e nell’eccessivo lavorio di rimandi e simmetrie interne in cui cerca di far rientrare tutto - dalla riflessione sul doppio all’etica del sacrificio, a cui generazioni di cartoni animati giapponesi ci hanno abituato, alla ricerca dell’equilibrio, perno della filosofia cinese - risiede la percezione di una certa fatica a tenere alti tensione e ritmo.
Nel film la relazione principale è quella padre-figlio, prima negata poi ritrovata, persa di nuovo e ritrovata ancora. In The Boy and the Beast è come se Miyazaki incontrasse il Kore-Eda di Father and Son. I legami di sangue esistono, non si possono cancellare. Ma i legami affettivi, i sentimenti che tengono insieme gli individui, tutti i santi giorni, nel bene e nel male, nelle sconfitte e nei successi, nei momenti felici e in quelli tristi, sono quelli che contano. E per ritrovare il passato bisogna imparare ad amare il presente e a non fuggirlo. Toccando le stesse corde del regista di Little sister, è qui che il regista trova lo slancio migliore.
Nella elaborata metafora dell’animo umano che Hosada ci offre, una Zootropolis meno tecnologica ma non meno umana convive con la consapevolezza dell’esistenza di un “mondo degli uomini” da tenere a bada e possibilmente distante, a causa di quel mal de vivre latente che finisce per danneggiare i singoli e logorare l’intera collettività. Eppure da quel lato oscuro che - nelle parole della giovane amica del protagonista - risiede nel fondo dell’animo di ogni individuo, si può sfuggire solo guardandolo in faccia, e dominare così la bestia nel cuore. Con uno stile asciutto, a tratti fumettistico, vicino al ritmo delle saghe dei combattimenti dei cartoni seriali, si affacciano echi sempre più forti di tensioni supereroistiche alla Marvel. In particolare lo scontro finale, al di là della visionarietà tutta nipponica del suggestivo ologramma della balena che attraversa la città, ricorda lo scontro tra spider-man rosso e il suo alter ego nero. Tutto infine risulta chiaro in questa divertente favola sul libero arbitrio. Le fantasmagorie di Miyazaki e le sue inebrianti, enigmatiche apocalissi restano però lontane.


CAST & CREDITS

(Bakemono no ko); Regia: Mamoru Hosoda; sceneggiatura: Mamoru Hosoda; musica: Takagi Masakatsu; produzione: Studio Chizu; distribuzione: Lucky Red; origine: Giappone, 2015; durata: 119’


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