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The door in the floor

Pubblicato il 3 febbraio 2006 da Matteo Botrugno


The door in the floor

Oltrepassare la soglia di una porta nel pavimento, entrare a far parte della realtà, vivendone i momenti di serenità e affrontandone quelli più dolorosi. Tuffarsi come un bambino verso la scoperta del mondo e della propria interiorità, tornare a vivere consapevoli della propria sofferenza.
Da un romanzo di John Irving, Vedova per un anno, è tratta l’idea di un film che stenta a decollare alle prime battute, non per deficienze in fase di sceneggiatura, quanto per il modo in cui vengono introdotti i personaggi. Il regista newyorkese ci scaraventa direttamente nella quotidianità di una coppia in crisi da anni , dopo aver perso due figli in un incidente stradale. I due, Ted e Marion Cole, hanno una bambina nata dopo la disgrazia, apparentemente serena, ma in realtà ossessionata dall’idea di aver avuto due fratelli, ma di non averli mai conosciuti. Abbiamo una visione statica, di persone che vivono in un limbo fatto di ricordi dolorosi, di rimpianti e di rabbia repressa. A scuotere i due coniugi dal torpore, ci penserà un adolescente, aspirante scrittore, che andrà a passare l’estate nella loro villa per osservare da vicino il lavoro di Ted, pittore e autore di libri per bambini.
I personaggi vengono presentati poco a poco; per il regista la priorità sembra essere quella di volerci immergere nella realtà fittizia costruita dai due protagonisti, volta a celare in parte la verità sulla tragedia familiare, che sarà svelata solo alla fine. I due non comunicano più: lui cerca di riempire il vuoto lasciato dalla morte dei figli passando il tempo a giocare con la bambina e a tradire la moglie con la modella da cui trae ispirazione per i suoi disegni a sfondo erotico; Marion invece si rifugia in un silenzio che lascia trapelare il profondo dolore che le attanaglia l’animo. Lui sembra superficiale e capace di mostrarsi un uomo sicuro di sé; la delicata fragilità di lei è tutta nell’espressività dello sguardo di Kim Basinger. Prima di mettere fine al loro matrimonio, Ted fa un ultimo regalo alla moglie: la possibilità di avere ospite in casa un ragazzo della stessa età dei figli. Marion si affeziona molto all’adolescente, tanto da assumere la funzione di madre e di amante allo stesso tempo, liberandosi in parte dalle catene che fino a quel momento l’avevano tenuta imprigionata al ricordo. Questo duplice risveglio, spinge la donna a prendere delle decisioni importanti per quanto riguarda il suo rapporto con il marito.
Dopo una partenza non incerta quindi, ma appositamente statica per evidenziare l’incapacità di far fronte ai loro problemi, i due protagonisti cominciano a manifestare il proprio desiderio di uscire non tanto dalla consapevolezza della tragedia, ma piuttosto dall’incapacità di sapervi far fronte. E’ con la scelta di un intelligente montaggio parallelo e con una giusta dose d’ironia, che William compie l’impresa di stemperare la situazione, che comunque fino a quel momento non era mai stata lacrimevole, liberando i personaggi nella tanto agognata crisi, che diventa così sinonimo di liberazione. Tutto è raccontato senza la fastidiosa tendenza ad impietosire, e i dialoghi, apparentemente superflui nella prima parte, prendono forza nella seconda metà del film, impreziosita anche dalla sequenza in cui l’uomo e il ragazzo si confrontano su cosa significhi essere uno scrittore e sul significato del suo operare.
Oltre ad un accurata alternanza di atmosfere, accompagnate dalla musica mai invasiva di Marcelo Zarvos, fa la differenza l’ottima prova di Jeff Bridges. L’attore (pittore anch’egli) dimostra di aver raggiunto una notevole maturità espressiva e la capacità di sapersi calare in un personaggio la cui ambiguità è fatta di cinismo e dolcezza, aggressività e voglia di liberarsi dal dolore che lo perseguita e che tenta in tutti modi di nascondere. Lo sfogo liberatorio non metterà fine al ricordo (notevole la sequenza finale), ma porrà le basi per l’inizio di una nuova vita.
Il triangolo si conclude con la figura del giovane scrittore in erba che, senza volerlo, porta una rivoluzione che stravolgerà la vita dei due coniugi, mettendoli faccia a faccia con la realtà. E’ poco più di un bambino che crede ancora agli idoli e alle favole quando entra in casa loro; ne uscirà deluso, ma allo stesso tempo rafforzato dalle situazioni in cui si era trovato invischiato e, in parole povere, un po’ più uomo.
Dopo il discreto esordio The adventure of Sebastian Cole, Williams fa un notevole passo avanti, dimostrando di saper miscelare diverse atmosfere, sia in fase di sceneggiatura sia dietro una macchina da presa che si muove leggera tra i protagonisti e i comprimari, senza opprimere né infastidire.

(Id.) Regia: Tod Williams; soggetto: tratto dal romanzo Vedova per un anno di John Irvin; sceneggiatura: Tod Williams; fotografia: Terry Stacey; montaggio: Alfonso Goncalves; musica: Marcelo Zarvos; scenografia: Therese Deprez; costumi: Eric Daman; interpreti: Jeff Bridges (Ted Cole), Kim Basinger (Marion Cole), Elle Fanning (Ruth Cole), John Foster (Eddie O’Hare), Bijou Phillips (Alice), Louis Arcella (Edoardo Gomez); produzione: Focus Features, This is That Production, Revere Pictures, Good Machine; distribuzione: Eagle Pictures; origine: USA; durata: 111’; web info: sito ufficiale.

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