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The Good Shepherd- L’ombra del potere

Pubblicato il 20 aprile 2007 da Sara Ceracchi


The Good Shepherd- L'ombra del potere

Tutto torna tra The Good Shepherd, Robert De Niro, La Cia e l’America.
Credevamo fosse tutto uno scherzo il camper ipertecnologico di Meet the Fockers nel quale il nostro attore e regista si inabissava per andare a raccogliere informazioni segrete sul suo futuro genero. Invece De Niro è realmente un serio esperto dell’intricato mondo dei servizi segreti americani, e su di essi ha compiuto (e tuttora compie) approfondite ricerche.
Quando si è imbattuto nella sceneggiatura di The Good Shepherd, del sommo Erich Roth –sceneggiatore, ad esempio, dello splendido Munich-, che da anni passava tra le mani di produttori e registi senza trovare la giusta considerazione, De Niro ha colto l’occasione a piene mani e si è messo a lavorare al progetto, tanto più che quando questo accadeva, all’indomani dell’11 Settembre 2001, i servizi segreti e le loro attività iniziavano ad essere più che mai sulla bocca di tutti.
Edward Wilson, personaggio ricalcato sulla figura del vero numero uno dell’Intelligence – fino al 1974 -, James Jesus Angleton (interpretato da uno strepitoso Matt Damon, che si riconferma particolarmente adatto a questo genere di ruolo, non dissimile in fondo da quello del mafioso infiltrato nella polizia in The Departed di Scorsese, nonché del furbissimo Mr. Ripley di Minghella), lo incontriamo quando è già un veterano della CIA e ne è anzi la mente: studente modello, uomo intelligente e discreto, dopo un passato di aderente agli Skull and Bones, la confraternita universitaria di Yale in cui, prima della Seconda Guerra Mondiale furono reclutati molti dei primi operatori dell’OSS, l’Ufficio Servizi Strategici antesignano della CIA, inizia appunto a far parte di questa dopo aver fatto l’agente segreto in Europa durante il conflitto. E per essa, per gli Stati Uniti d’America, sacrificherà ogni cosa, fin quando il sacrificio richiesto dalla dea USA diventerà troppo ingente, e per la prima volta Wilson dovrà fare una scelta personale.
Per due ore e quaranta minuti fittissimi, De Niro racconta una storia che sprizza passione da tutti i pori, e che appunto per questo non si schiera mai. The Good Shepherd è il ritratto non della società americana, bensì della società occidentale tutta e di quella che si confronta con essa: una società dove nulla è mai come sembra, e dove, fin nei rapporti più privati, la superficie è sempre la rappresentazione idealizzata di tutto ciò che sottende la quotidianità e le permette di procedere, in qualsiasi modo, nel bene e nel male. ’Noi non facciamo guerre, facciamo in modo che rimangano guerre piccole’, dice Wilson a un certo punto del film: insomma, se come altri conflitti, la Guerra Fredda non è diventata la Terza Guerra Mondiale è stato forse anche grazie al lavoro di organizzazioni ’sporche’ e subdole come la CIA. In conferenza stampa De Niro ha più volte fatto notare come dei servizi segreti si parli soltanto nel momento in cui falliscono – e bisogna ribadire che né il film, né il suo autore li difendono a prescindere -, mentre dei tanti silenziosi successi mietuti dagli 007 non si dice mai: successi molto spesso dal caro prezzo, giacché anche una sola vita è un costo altissimo. Ma se certi metodi continuano ad essere usati è perché in fondo quell’unica vita non vale la nostra normalità, la nostra tranquillità quotidiana; si preferisce per lo più non sapere, non interessarsi e semmai criticare. E per vita come caro prezzo si intende anche quella degli stessi operatori: sentirsi tradito in continuazione, pensare a cento cose mentre tenti di risolverne una, essere come un estraneo in casa e in famiglia. Per L’America, per la Patria: sacrificare tutto per essa, persino gli scrupoli, col solo compenso di rendersene merito (giammai pubblico). L’incredibile condizione – romanzata ma reale chissà per quanti agenti di Intelligence - di Edward Wilson mostra bene questa divisione del mondo in motore e lucida carrozzeria, in due piani conviventi e paralleli, che non vogliono e non possono incontrarsi mai. Il film viene a incentrarsi così proprio sul dramma di un uomo profondamente solo, schiavo consenziente dei suoi doveri, martire dell’impegno civico: lui sa cosa comporta davvero dover mantenere sempre in buona salute il proprio Paese, e tra le altre cose c’è il non essere compreso da chi vede le cose in maniera molto più ingenua, e il rendersi conto di non capire esattamente cosa fa egli stesso, persino dal punto privilegiato in cui si trova (in un paio di occasioni nel corso del film infatti ci si domanda se molti degli intrighi sui quali si lavora non siano solo pretesti; e quel personaggio – Mark Ivanir l’interprete - che è forse una spia russa del KGB o un vero rifugiato politico, torturato dalla CIA a forza di schiaffoni, acqua gelida ed LSD dichiara come l’URSS già nel 1961 sia ormai una specie di sepolcro imbiancato, solo un pretesto perché gli americani vedano giustificato ogni loro tipo di azione difensiva e offensiva). A questo proposito appare emblematico il confronto tra Laura (Tammy Blanchard) e Clover (Angelina Jolie) con Edward Wilson. Ragazza sorda – dunque discreta per forza di cose -, Laura è la prima dolcissima fidanzata di un tenero giovane Edward: i due devono lasciarsi quando lui deve sposare Clover, e quando si rincontrano, dopo un certo numero di anni, Laura gli confessa quante volte abbia immaginato la vita con lui professore di poesia e lei mogliettina premurosa in una casetta della città universitaria: non gli chiede nulla del suo lavoro reale, non se ne interessa; Clover, personaggio vulcanico, estroverso e chiacchierone, esatto contrario di Edward, impazzisce invece nel tentativo di comprendere anche solo pochissimo del lavoro del marito, e lo fa coi suoi metodi rumorosi e alla fine inutili e condiscendenti. Rappresentata dai due atteggiamenti diversi ed equivalenti di Laura e Clover, la maggior parte di noi non si rende conto che le nostre occidentali libertà – che non bastano mai - hanno avuto e hanno un costo di cui a malapena riusciamo a scorgere i contorni. Così, all’interno di un esposizione fondamentalmente piana, o meglio impersonale dei fatti e della quotidiana normalità (che esiste, non c’è che dire), si delinea un mosaico di relazioni che nel corso del film si fanno sempre più rarefatte e imponderabili, lasciando alla fine irrisolte molte domande e impedendo di schierarsi, in una società dove ci si sente tutti pedine di un delicatissimo gioco di equilibri – come ricorda la metafora ricorrente del veliero in bottiglia, che più di qualche volta compare nel film -, che tuttavia spesso si rompono.

The Good Shepherd è un film ricchissimo sotto ogni aspetto, eppure mai retorico – forse un tantino nel finale -, lo schema di rimandi temporali sui quali è intessuto non è mai fine a se stesso, e con un minimo di attenzione è difficile perdersi. Lo sguardo sulla vita emotiva dei personaggi, è rigoroso e profondo, e non a scapito della vicenda collettiva al centro del film: tra pubblico e privato sussiste l’efficace, toccante equilibrio che vantano i migliori film della tradizione americana, e in questo senso lo si potrebbe paragonare a Il Padrino di Coppola –qui anche produttore esecutivo.
Non si può dire insomma che De Niro non abbia preso il meglio dalle sue invidiabili frequentazioni cinematografiche: The Good Shepherd è palesemente un film molto sentito, che invita a riflettere, senza fare proclami, senza la sciocca pretesa di sconvolgere – e per questo forse ci riesce -, appurando l’ottima capacità registica del grande Bob e riconfermandone il pressoché unico talento attoriale: per quei memorabili dieci minuti scarsi che lo vedono qui anche interprete del generale Sullivan, il personaggio a capo dell’OSS col debole per la democrazia e la pace, che guarda caso è gravemente malato.


CAST & CREDITS

(The good shepherd); Regia: Robert De Niro; soggetto e sceneggiatura: Erich Roth; fotografia: Robert Richardson; montaggio: Tariq Anvar; musiche: Marcelo Zarvos, Bruce Fowler; interpreti: Matt Damon, Angelina Jolie, William Hurt, John Turtutto, Robert De Niro; produzione: Tribeca, American Zoetrope; distribuzione: Medusa; origine: USA, 2007; durata: 167’; webinfo: Sito ufficiale


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