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The Midnight Sky

Pubblicato il 29 dicembre 2020 da Francesca Pistocchi
VOTO:


The Midnight Sky

A tenerci compagnia in questo Natale un po’ fuori dal comune è George Clooney (in doppia veste di protagonista e di regista), approdato su Netflix il 23 dicembre con un film decisamente adatto all’atmosfera surreale e quasi post apocalittica sprigionatasi da questo 2020: The Midnight Sky è l’adattamento cinematografico del romanzo di Lily Brooks-Dalton (La distanza fra le stelle, 2016), scrittrice non troppo prolifica e creatrice di un cosmo in cui sonno e veglia si fondono, riportando alla luce fantasie infantili. Il film di Clooney segue bene questa linea d’ombra, e lo fa unendo due universi paralleli apparentemente destinati a non incrociarsi mai: nell’ordine, quello di Augustine Lofthouse (George Clooney), anziano astronomo confinato in una stazione scientifica nel bel mezzo dell’Artide, e quello di Sully (Felicity Jones), membro di un equipaggio di astronauti reduci da una missione lunare. Ma questa luna non è la luna, bensì un satellite di Giove incredibilmente simile all’Eden che non abbiamo mai avuto: saturato, frondoso, luminescente come il disegno di un bambino, il nuovo Paradiso si chiama K-23 e sembra fatto apposta per noi. Al suddetto idillio fantascientifico, i cui toni puerili riescono perfino a strapparci un sorriso, si oppone l’immancabile catastrofe terreste: corre l’anno 2049 (pericolosamente vicino al nostro spaziotempo!), una recente esplosione nucleare ha distrutto per sempre il nostro pianeta. Quasi ripercorrendo all’indietro la catena evolutiva, i pochi superstiti hanno abbandonato la luce del sole, rintanandosi nell’oscurità di grotte e caverne. Il vecchio e ormai malato Professor Lofthouse è l’ultimo uomo rimasto sulla terraferma: almeno fino a quando una misteriosa ragazzina (Caoilinn Springall) non appare come per magia, restituendogli la vita a cui aveva rinunciato. La strana coppia dovrà poi cercare di ristabilire un contatto con Sully e i suoi compagni, ignari dell’attuale cataclisma.

Ricollegandosi pericolosamente al nostro presente storico, Clooney svolge i fili di un dialogo fra emarginati, trasponendo l’attualità all’interno di una dimensione fantastica dai contorni quasi onirici. L’intento è quello di tracciare un quadro metafisico in grado di sfiorare l’intimità dei protagonisti e dello spettatore, senza però introdurvisi con la forza. Per quanto i propositi iniziali possano risultare ammirevoli, la missione non può certo dirsi riuscita: il linguaggio della pellicola è fin troppo semplice per raggiungere i suoi scopi argomentativi e il film si perde nello snocciolamento di una serie di cliché immaginativi a cui ormai abbiamo fatto il callo. Alcune inquadrature sembrano dilatarsi oltre ogni misura, i personaggi ostentano una contenuta apatia sotto la quale il regista vorrebbe nascondere tutta una gamma emotiva in realtà impercettibile al pubblico. Le domande più spontanee (e legittime!) faticano a trovare risposta, vengono anzi liquidate con uno scrollo di testa, come se il punto fosse un altro: cos’è successo sul pianeta negli ultimi due anni? Come ha fatto l’umanità intera ad estinguersi nel giro di pochi mesi? E perché Sully, una volta posta davanti alle immagini di una terra ormai morente, finisce per rimanere impassibile? Certo, il punto è un altro – ovvero, quello di creare un limbo in cui sviluppare numerose solitudini. Le istantanee su cui si rapprende questa eccentrica distopia appaiono appena abbozzate, gli ultimi sopravvissuti vagano per il cosmo con una nonchalance tanto irritante quanto improbabile, i rari dialoghi vogliono dirci tutto e nulla.

Nell’insieme, il macrocosmo di Clooney si rivela più scontato e superficiale di quanto non voglia essere. L’enigmatica solitudine e il doloroso silenzio di cui Augustine si circonda non bastano a salvare l’intero lungometraggio: la pellicola si smarrisce nell’ingenuità dei suoi stessi miraggi, nel mutismo del suo incessante tergiversare attorno a una grossa lacuna, nei tratti agrodolci e stucchevoli del proprio epilogo. Quasi fosse l’incarnazione del mondo che fu, Lofthouse è destinato a scomparire – ma non prima di averci indicato una via di fuga attraverso le stelle. Ancora una volta, l’impressione è quella di osservare un paesaggio nato dalle mani di un bambino: colorato, meraviglioso, allucinato, sognante, piacevolmente incompleto. Più che un monito, un abbozzo da appendere alla parete di casa in questo bizzarro Natale.


CAST & CREDITS

The Midnight Sky - Regia: George Clooney; sceneggiatura: Mark L. Smith; fotografia: Martin Ruhe; montaggio: Stephen Mirrione; interpreti: George Clooney (Augustine Lofthouse), Ethan Peck (Augustine giovane), Felicity Jones (Sully), David Oyelowo (Adewole), Tiffany Boone (Maya), Demián Bichir (Sanchez), Kyle Chandler (Mitchell), Caoilinn Springall (Iris), Sophie Rundle (Jean), Tim Russ (Mason Mosley), Miriam Shor (moglie di Mitchell); produzione: Grant Heslov, George Clooney, Keith Redmon, Bard Dorros, Cliff Roberts, Smokehouse Pictures, Anonymous Content; origine: USA 2020; durata: 122’.


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