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The Place

Pubblicato il 25 novembre 2017 da Matteo Galli
VOTO:


The Place

“Favola allegorica a fine spiccatamente pedagogico”, così definisce il Devoto il lemma “apologo” – e che nel caso di The Place di Paolo Genovese di un apologo si tratti non crediamo vi siano dubbi, per lo meno relativamente alle intenzioni dell’autore che insieme a Isabella Aguilar ha scritto la sceneggiatura, lasciandosi ispirare dalla serie televisiva americana The Booth at the End. Senonché, quando ci si mette di mezzo la pedagogia, la questione diventa oltremodo complicata perché, pur tenute per buone abbondanti dosi di maieutica, il fine dovrebbe essere facilmente decifrabile, il messaggio dovrebbe arrivare in modo chiaro, dritto, inequivocabile al destinatario. Si dirà: ma viviamo in epoca liquida in cui non si può certo pretendere l’univocità del messaggio, il postmoderno ci ha insegnato a rifuggire dalle ideologie certe, dalle ricette facili e dunque perché proprio Genovese dovrebbe proporcene una? Vero. Eppure, a più riprese, guardando The Place si ha la sensazione che il film si regga su uno stucchevole e manieristico gioco – è il caso di dirlo – a tavolino in cui, soprattutto grazie al ricorso piuttosto massiccio a una vaga sentenziosità, allo spettatore si chiede di continuo di porsi la domanda: ma il personaggio principale chi mai sarà? Forse il Diavolo (pizzetto mefistofelico, il fuoco)? Dio (qualche miracolo alla fine sembra compiersi)? Un suo/loro emissario? La voce della coscienza? Il delegato del libero arbitrio? Contrassegnata dal claustrofobico rispetto dell’unità di luogo (meno quella di tempo, meno ancora quella di azione), la storia è nota: come fanno i loschi soggetti (per esempio i capimafia), l’Uomo (così è chiamato in sceneggiatura il protagonista interpretato dal sempre notevolissimo Valerio Mastandrea) è titolare di uno “sportello” h24 in un locale denominato appunto The Place. Da lui si alternano una decina di individui, maschi e femmine, (i quali, misteriosamente, non si incrociano mai, né pare tuttavia che vengano su appuntamento) che a lui si rivolgono per chiedere aiuto, un servizio, ricevendone in cambio, previa consultazione di un librone, scritto fitto fitto e pieno di frecce, un compito da svolgere. Le richieste sono le più svariate ma attengono tutte ai Grandi Temi dell’Umanità: l’Amore, la Morte, la Malattia, la Fede, il Sesso, la Bellezza etc. Nessuna richiesta è dichiarata illegittima dal contraente/delegato, tutto è possibile, anche le richieste più complesse come la recessione di una malattia (due casi: un tumore infantile e un Alzheimer) possono essere esaudite, a condizione che il richiedente accetti il deal ossia la prestazione da portare a termine in cambio, spesso ispirata ad una sorta di rozzo talora rozzissimo contrappasso: vuoi l’Amore, distruggine un altro, vuoi la guarigione di tuo figlio ammazza un altro bambino etc etc. I richiedenti non sono vivaddio costretti, ma sono comunque posti di fronte a delle scelte morali (fin dove voglio/posso arrivare per esaudire il mio desiderio?), il contraente è un facilitatore di dilemmi, del libero arbitrio, anzi The Place, il locale che dà il nome al film, potrebbe, parafrasando Feydeau, esser proprio ribattezzato “la taverna del libero arbitrio”. Le soluzioni adottate, le risposte sono le più diverse e ovviamente non le riveleremo. Quel che sembrerebbe dare ordine all’alternarsi delle storie – separate da un uso smodato di dissolvenze in nero – ossia il fatto che esse vengono assai presto a costituire un intreccio spesso a coppia, finisce per rendere il plot e il montaggio molto meccanici. Talvolta l’intrico arriva addirittura a ricomprendere tre o addirittura quattro clienti (nella storia che vede protagonisti il poliziotto, il figlio, la donna del figlio, la donna che vuole dal marito l’amore totale, interpretati rispettivamente da Marco Giallini, Silvio Muccino, Silvia D’Amico, Vittoria Puccini) e allora si finisce per stancarsi di questo finto rompicapo. Con questa autocostrizione spaziale, la regia (come del resto già in Perfetti sconosciuti), non può fare moltissimo, se non lavorare di continuo con i primi piani, giocando molto sull’espressività degli attori (Mastandrea, Alba Rohrwacher e Giallini erano già comparsi nel film precedente), tutti mediamente bravi. Fuor d’apologo, piacerebbe pensare a questo film come a un meta-film, a un’allegoria teatral-cinematografica: i personaggi sembrano tutti partecipare a un casting, il gioco di ruolo, questa sorta di escape room, si trasforma in un gioco di ruoli, l’Uomo potrebbe essere visto come un regista che testa le capacità degli aspiranti attori a calarsi in personaggi molto diversi da loro - e il film potrebbe esser letto altresì come un gioco a nascondino con lo spettatore a cui viene sottratta la visione di ciò che accade e il suo voyeurismo visuale viene costretto ad accontentarsi di meri racconti e tante, tante parole. Ma dubitiamo che le intenzioni di Genovese e Aguilar fossero queste.


CAST & CREDITS

(The Place). Regia: Paolo Genovese sceneggiatura: Paolo Genovese, Isabella Aguilar; fotografia: Fabrizio Lucci; montaggio: Consuelo Catucci; interpreti: Valerio Mastandrea (Uomo), Marco Giallini (Ettore), Alba Rohrwacher (suor Chiara), Vittoria Puccini (Azzurra), Rocco Papaleo (Odoacre), Silvio Muccino (Alex), Silvia D’Amico (Martina), Vinicio Marchioni (Gigi), Alessandro Borghi (Fulvio), Sabrina Ferilli (Angela), Giulia Lazzarini (Marcella); produzione: Medusa Film, Lotus Productionsorigine: Italia 2017; durata: 105’.


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