THE RED SHOES

A quasi cinque anni dal suo film d’esordio, Wanee and Junah, torna Yong-gyun Kim con un horror che farà sicuramente discutere gli amanti del genere. The red shoes è un lavoro che lascia spiazzati perché se da una parte la sceneggiatura presenta notevoli incoerenze, dall’altra riteniamo comunque doveroso soffermarci ad analizzare la finezza tecnica con cui è realizzato. Non stiamo cercando di giustificare un film ‘brutto’ solo perché ben confezionato, quanto piuttosto di risolvere il dilemma che ci si pone quando la qualità visiva di un film è talmente alta da far passare in secondo piano il filo logico della storia raccontata.
Yong-gyun Kim trae l’ispirazione da una fiaba di Andersen: una bambina desiderava talmente tanto delle scarpette rosse che disobbedì alla madre adottiva pur di indossarle. Le scarpe avevano sì il potere di conferire a chiunque le indossasse il dono di danzare in modo armonioso, ma, dato che non riusciva più a sfilarsele, la bambina fu costretta a farsi tagliare i piedi. Da questa favola vengono ripresi con successo gli aspetti più crudi, sia visivi (per quanto riguarda le amputazioni), che concettuali (la metafora sull’avidità umana); l’aspetto della danza invece, viene ripreso solo in flashback ben costruiti, che diventano così l’unico appiglio per non perdersi nei meandri di una sceneggiatura poco chiara e, soprattutto per non soccombere sotto il peso di forzati colpi di scena. Flashback a parte, i momenti migliori sono riscontrabili nelle sequenze più visionarie, in cui le immagini, dense d’angoscia, mettono in risalto i desideri ossessivi e le paure della protagonista. Sicuramente alcune idee sono prese in prestito dalla tradizione dell’horror orientale (come non notare la somiglianza tra la piccola Tae-su e la Samara di Nakata/Verbinski?), ma riteniamo fondamentale evidenziare la finezza registica di Yong-gyun Kim, che isola la sua Sun-jae in un limbo metropolitano su cui incombono fantasmi di atrocità del passato e ambiguità del presente, sublimi squarci di luce e brutali parentesi gore.
Wanee and Junah, tematicamente differente rispetto a The red shoes, era un film sentimentale che presentava le stesse caratteristiche del secondo lavoro del regista coreano: la cura formale nella costruzione dell’immagine in relazione ad alcune buone trovate, come ad esempio l’uso di animazioni per svelare episodi del passato dei due protagonisti, o la raffinatezza nella costruzione dei flashback che facevano riaffiorare pian piano ricordi dolorosi. Nel film però troppe scene erano slegate l’una con altra e la loro sequenza era spesso lasciata al caso, più che ad un necessario lavoro d’incastro. I pregi e i difetti del film d’esordio sono riscontrabili quindi anche in The red shoes che, pur reggendosi su fondamenta tecnico-stilistiche notevoli, è penalizzato da una sceneggiatura in cui vengono mescolate le carte troppo spesso e in maniera così ruffiana da creare irritazione. La descrizione del rapporto madre-figlia corroso dal desiderio funziona; il ritmo è vivace e non fa mai scendere il film sotto il livello minimo di fruibilità: il problema sembra riscontrarsi nei momenti in cui la tecnica del colpo di scena viene adoperata per mascherare una certa carenza di idee. Una narrazione in cui può accadere, in modo casuale e forzato, tutto e il contrario di tutto, appiattisce il livello di una pellicola e non risponde ai canoni su cui si basa la logicità della ’svolta’ nell’azione.
Per Yong-gyun Kim quindi si tratta di altro lavoro riuscito solo a metà, ed è un vero peccato perché c’è la classe, la capacità nel lasciare liberi gli attori nella loro interpretazione (ci riferiamo in particolar modo al lavoro svolto con l’ottima Hye-su Kim, dotata di grande espressività), e la versatilità nel trattare temi differenti tra loro, capacità che non sempre i giovani cineasti dimostrano di avere. Attendiamo quindi una prova più convincente di questo The red shoes, lavoro in cui possiamo intravedere anche una punta di ironia sul rapporto donna-scarpe, che mai era stato affrontato nel cinema da questo punto di vista.
(Bunhongshin) Regia: Yong-gyun Kim; soggetto: Hans Christian Andersen (Scarpette rosse); sceneggiatura: Yong-gyun Kim, Sang-yeal Ma; fotografia: Tae-kyung Kim; montaggio: Min-kyung Shin; musica: Byung-woo Lee; scenografia: Hyung-tae Lim, Pak-ha Jang; interpreti: Hye-su Kim (Sun-jae), Yeon-ah Park (Tae-su) Sung-su Kim (In-cheol); produzione: Generation Blue Film, Cineclick Asia, Cinewise Film; distribuzione: Medusa; origine: Corea del Sud; durata: 103’.
