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THE TERMINAL

Pubblicato il 6 settembre 2004 da Mazzino Montinari


THE TERMINAL

Dopo l’11 settembre, è ancora possibile realizzare commedie dal tocco leggero per affrontare temi politici e sociali delicati se non drammatici? Argomenti come quelli dell’immigrazione e dei diritti umani, o quelli che coinvolgono i senza terra e gli apolidi, non sembrano scindibili dal contesto, ossia dalle guerre preventive, dalle stragi e dalle torture. Nonostante ciò, Steven Spielberg ci ha provato, ha sfidato il senso comune e ha diretto una commedia dal tocco leggero per narrare le vicende di un uomo che ha perso ogni diritto a esistere e a vivere nel mondo.
Spielberg con The Terminal ha provato a raccontare l’America e le sue tragiche contraddizioni attingendo dal cinema di Frank Capra. In modo fantasioso, senza appellarsi al senso della realtà, mettendo da parte i pesanti toni morali e storici di film precedenti come Salvate il soldato Ryan o di Schindler’s List, ma affidandosi alla leggerezza di genere come era già avvenuto nell’ultimo Prova a prendermi.
Gli amanti di Spielberg rimarranno delusi da The Terminal per la sua immaterialità, per la totale separazione dal mondo reale. Le avventure di Viktor Navorsky (Tom Hanks), seppur riferite a una vicenda realmente accaduta in Francia, non stanno in piedi, soprattutto se accadono in un aeroporto come il JFK di New York e se si immaginano dopo il già citato 11 settembre 2001. Tuttavia, è proprio dietro la leggerezza della commedia che talvolta si nasconde la complessità. E The Terminal è un film complesso, soltanto apparentemente ammantato di buonismo, che nella sua trama lineare rivendica l’inalienabile diritto degli uomini a esistere non perché dotati di un passaporto ma solo per il loro “semplice” vivere tra gli altri uomini.
La storia di Viktor Navorsky è paradossale ma non impossibile: giunto in America viene fermato alla dogana perché nel frattempo il governo del suo Paese è stato rovesciato da un golpe. Tutte le relazioni internazionali sono perciò interrotte e Viktor si ritrova in un buco nero, il suo passaporto non è più valido e di conseguenza perde la dignità di individuo. Costretto a vivere nell’aeroporto (non può nemmeno tornare perché tutti i voli verso il piccolo Paese dell’est europeo sono stati annullati), Viktor sembra nella stessa situazione di un altro personaggio interpretato da Tom Hanks, Chuck Noland di Cast Away. In quel caso, il protagonista era solo a combattere contro la natura, una lotta animale per la mera sopravvivenza. A differenza di Chuck, Viktor deve combattere contro la burocrazia (che come la natura non ha un perché) e però la sua è una battaglia autenticamente politica perché non è da solo, vive comunque insieme agli altri. Riproduce un mondo, seppur dentro l’ovattato ambiente del JFK di New York. E’ insieme a un ragazzo di origine messicana (Diego Luna), a un vecchio e paranoico indiano, a un afroamericano. Con loro riesce a formare una sorta di resistenza alle leggi che regolano la vita quotidiana. Viktor e i suoi amici rappresentano lo zoccolo duro dell’umanità, quella che ovunque riemerge e sa stare insieme. Un’umanità fragile e legata a un filo sottile che da un momento all’altro può spezzarsi. Un filo che tuttavia esiste.
A far da contraltare, ci sono l’inaffidabile Amelia (Catherine Zeta-Jones) e Frank Dixon (Stanley Tucci), ossia l’hostess di cui Viktor si innamora e il burocrate che costringe l’apolide a vivere per nove mesi nel limbo dell’aeroporto, in attesa che il suo passaporto torni ad essere accettato in tutte le dogane. Il suo passaporto, non la persona.
Amelia e Dixon rappresentano il doppio volto dell’America odierna: il primo è quello desideroso ma ancora incapace di cambiare pagina, di vivere in modo diverso; il secondo è quello che mostra la propria orrida stupidità, la perfetta adesione al compito da svolgere a prescindere da tutto, il novello Eichmann. Amelia e Dixon sono i personaggi chiave di The Terminal. Sono loro i veri duellanti, coloro che in America decideranno se continuare a mostrare i muscoli in modo “democratico” alla Kerry (“vorrei ma non posso spaventare i moderati”) o “repubblicano” alla Bush. In ogni caso, c’è da temere che sarà un disastro. A far sperare sono gli estranei, ossia i Viktor che provano a riaffermare i loro voler vivere tra gli altri e che dell’America amano il jazz.

[settembre 2004]

Cast & Credits:

regia: Steven Spielberg; sceneggiatura: Sacha Gervasi, Jeff Nathanson; fotografia: Janusz Kaminski; montaggio: Michael Kahn; interpreti: Tom Hanks, Catherine Zeta-Jones, Stanley Tucci, Chi McBride, Diego Luna; produttori: Walter F. Parkes, Laurie MacDonald, Steven Spielberg; produzione: DreamWorks Pictures; distribuzione: United International Pictures; anno: 2004; durata: 131’; origine: USA.

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