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The War - Il Pianeta delle Scimmie

Pubblicato il 13 luglio 2017 da Anton Giulio Onofri
VOTO:


The War - Il Pianeta delle Scimmie

Poche righe saranno sufficienti per registrare la delusione cocente al termine della visione del terzo capitolo della nuova serie cinematografica dedicata al Pianeta delle Scimmie, iniziata, come ci ricorda una felice invenzione grafica negli ottimi titoli di testa, con l’Alba (Dawn), proseguita con una Revolution, per sfociare in una Guerra (War for the Planet of the Apes è il titolo originale inglese). Se della regia del primo atto si era occupato Rupert Wyatt, per il secondo e per questo nuovissimo terzo film (sono in tutto ben 9, fra originali, remake e reboot, i titoli di un ciclo iniziato nel 1968 del quale questo recente trittico realizzato dal 2011 in poi è il prequel) le redini del progetto sono passate nelle mani di Matt Reeves, notevole talento hollywoodiano dotato della visionarietà necessaria, che con Apes Revolution aveva firmato forse il migliore episodio dell’intera saga.

Cos’è che non funziona in The War – Il Pianeta delle Scimmie, se non altro rispetto alla puntata precedente? In Apes Revolution non si sapeva se restare più ammirati per un concept visionario curato con maniacale meticolosità nel conferire alle scimmie il realistico tratteggio di espressioni di impressionante aderenza a quelle degli umani, o per la straordinaria macchina narrativa che nel pieno rispetto dei canoni consueti dell’epica classica macinava sequenze di travolgente e abbagliante qualità spettacolare senza mai trascurare il contrasto, anzi da esso traendo un linfatico ed essenziale motivo di terrifica fascinazione, tra la natura umana dei pensieri e dei sentimenti delle scimmie, e le loro belluine sembianze. Nel caso di questo War, invece, al di là dei contenuti e delle attualissime tematiche belliche che hanno toccato il cuore di molta critica statunitense (su Rotten Tomatoes il film ha ricevuto un inaudito 95% di recensioni positive), è proprio la macchina cinematografica a soffrire di eccessive lentezze caricate di affondi sentimentali dosati con quella che stavolta suona come una presunzione autoriale un tantino fuori fuoco, e che dopo il promettente incipit dell’assalto alla trincea sembra incepparsi per poi non riuscire mai ad ingranare realmente, anche a causa di una nociva e costrittiva unicità di luogo dell’azione (il campo di prigionia dove vengono concentrate e torturate le scimmie). Certamente più denso che mai è lo spessore dell’intimo tormento di Cesare, interpretato con la consueta intensità da Andy Serkis sapientissimamente mascherato dietro i sempre stupefacenti effetti speciali della performance capture, ma troppo lunghi e sommariamente sceneggiati sono i dialoghi con i suoi sodali, e una volta compreso che vano sarebbe attendersi da un momento all’altro un guizzo dell’azione, uno scatto spettacolare, un evento che spinga in avanti il racconto rinnovando un interesse via via addormentatosi per colpa di tempi cinematografici inopinatamente dilatati, non è sufficiente l’apocalittico finale a dissipare la sensazione generale di pesantezza e di noia.

C’è chi ha elogiato questo aspetto più meditativo e intimista del film (qualcuno parla di "romanticismo malinconico"), adottato in un blockbuster tanto milionario, e sulla carta si poteva tranquillamente scommettere che da una sfida del genere Matt Reeves sarebbe uscito più che vittorioso. Ma il rimpianto di vedere tanta carne al fuoco estinguersi rapidamente in fumo, tanto fiume di emotività tirato a freno, tanto girare intorno all’odio insanabile degli umani verso le scimmie, lascia la bocca amara, né aiuta l’introduzione di un nuovo personaggio, Scimmia Cattiva (Bad Ape, interpretato da Steve Zahn), una sorta di Gollum incaricato di suscitare qua e là qualche risata, e di occuparsi di Nova, bambina muta troppo bella e bionda per non risultare stucchevole in mezzo a tanta desolante barbarie primitiva. Buona è senz’altro l’intuizione di costruire il personaggio di Woody Harrelson (lo spietato colonnello dell’esercito degli umani) sul modello del conradiano Kurtz di Apocalypse Now, citazione calibrata senza calcare l’ovvietà dell’omaggio, come le scritte sugli elmetti dei soldati, evidente ricordo del “born to kill” su quelli dell’esercito USA nel Vietnam di Full Metal Jacket.

Un film carico di allusioni e rimandi, dunque (così come già i film della prima serie usciti dal 1968 in poi adombravano riflessioni sul destino dell’umanità influenzate dalla Guerra Fredda), che senza dubbio vorrebbe gridare la sua denuncia contro una schiatta fallimentare ridotta a bestiale macchina da guerra contro se stessa, ma è un messaggio che, per quanto amaro e dolente, non riesce mai ad elevarsi alla statura di stentoreo e disperato allarme. Addirittura fastidiosa, nella sequenza conclusiva, suona l’enfatica colonna musicale di Michael Giacchino, che ricalca certe sonore enfasi trionfalistiche prepotentemente tornate di moda nel cinema hollywoodiano e che saremo costretti ad ascoltare ancora fino a chissà quando.


CAST & CREDITS

(War for the Planet of the Apes); Regia: Matt Reeves; sceneggiatura: Mark Bomback, Matt Reeves; fotografia: Michael Seresin; montaggio: William Hoy; musica: Michael Giacchino; interpreti: Andy Serkis, Woody Harrelson, Steve Zahn; produzione: Chernin Entertainment; distribuzione: 20th Century Fox; origine: USA, 2017; durata: 142’


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