X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



The Zero Theorem

Pubblicato il 3 settembre 2013 da Giovanna Branca

VOTO:

The Zero Theorem

Il futuro distopico dell’umanità è il cuore del filone più riuscito delle opere di Terry Gilliam, il cui talento visionario si esprime in queste raffigurazioni asimoviane e orwelliane all’apice del suo potenziale. Dopo Brazil e L’esercito delle dodici scimmie il regista americano torna, con The Zero Theorem, a confrontarsi con il fanta-futuro come metafora del mondo in cui viviamo. Se Brazil, concepito negli anni Ottanta, era una satira della burocrazia, dell’ossessione per il corpo e l’aspetto fisico, della società di massa che aliena l’individuo e ovviamente della grande previsione orwelliana sul controllo capillare degli esseri umani da parte di un potere invisibile, in 12 Monkeys il futuro era già il rimpianto di un passato ormai irrecuperabile e una straziante apologia della bellezza delle cose più semplici, come una canzone dei Platters al chiaro di luna o un film di Hitchcock da citare con amore.
The Zero Theorem invece è l’iperbole di un futuro in un certo senso già compiutosi, con la sua simbiosi tra uomini e macchine, la pubblicità che penetra ad ogni livello della vita dell’individuo seguendolo perfino per strada - anche se in questo il film è debitore all’immaginario inaugurato da Blade Runner – la pace che si trova solo nella simulazione virtuale di una spiaggia al tramonto. Qohen Leth, un Christoph Waltz rasato a zero come il Bruce Willis di L’esercito delle 12 scimmie, è una sorta di programmatore di una gigantesca compagnia i cui scopi non sono ben chiari, e gli viene assegnato dal misterioso capo (Matt Damon) un difficilissimo teorema da dimostrare per motivi che sfuggono allo stesso protagonista. In cambio Qohen ottiene di poter lavorare da casa, dato che ormai da anni vive in attesa di una chiamata, la chiamata. Ma di chi? In un aggiornamento postmoderno di Aspettando Godot si tratta addirittura della chiamata che, nella sua immaginazione, gli svelerà il senso della sua vita.
Gilliam è sempre abile nel tradurre sullo schermo le sue visioni: The Zero Theorem è una fantasmagoria assai bella da vedere, con la sua commistione di oggetti e architetture futuribili ed al contempo retrò. Ma tanto è gradevole agli occhi quanto è sconclusionata nella trama, con personaggi che non convincono mai e dinamiche mal costruite. Il suo tentativo dichiarato di “aggiornare” Brazil non si avvicina neanche lontanamente a quello che per molti è il capolavoro dell’ ex Monty Python, e resta un blando virtuosismo stilistico farcito di citazioni cinematografiche – la “morte” del computer come in 2001, la ricerca dell’eletto come in Matrix – e riferimenti all’attualità: Occupy Wall Street, Scientology eccetera.
Chi aspettava il ritorno del Gilliam che amiamo, dopo anni di delusioni, dovrà anche stavolta incassare lo smacco.


CAST & CREDITS

(The Zero Theorem) Regia: Terry Gilliam; sceneggiatura: Pat Rushin; fotografia: Nicola Pecorini; montaggio: Mick Audsley; musica: George Fenton; scenografia: Adrian Curelea; interpreti: Christoph Waltz (Qohen Leth), Melanie Thierry (Bainsley), Matt Damon (Management), Tilda Switon (Dr. Shrink-Rom); produzione: Zero Theorem, Mediapro Studios; distribuzione: Moviemax; origine: Regno Unito, Romania; durata: 107’.


Enregistrer au format PDF