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This Must Be The Place

Pubblicato il 20 maggio 2011 da Salvatore Salviano Miceli
VOTO:


This Must Be The Place

Non è una caso che la musica sia una componente fondamentale del cinema di Paolo Sorrentino. Le sue immagini seguono i movimenti sinuosi propri delle sinfonie, accettando di buon grado attimi di rottura in cui fare entrare, dirompenti, le dissonanze di un rock crudo e, spesso, malinconico.
È la malinconia di storie intime in cui l’uomo resta intrappolato, faticando non poco ad aprirsi, e non sempre vi riesce, una via di uscita. Tutto questo è ancora più vero davanti gli spazi, a volte impersonali ma quasi sempre liberi nel tendere verso l’orizzonte, che offre la dimensione americana. Sono questi spazi, insieme al volto indimenticabile di Sean Penn, ed alla sua postura piegata alla vita, gli estremi cui si rivolge contemporaneamente lo sguardo di Sorrentino. Sono gli occhi, sospesi a metà tra noia e depressione, di una vecchia rockstar di cinquanta anni rimasta bambina, e paesaggi in cui si succedono grattacieli, lande rocciose e distese ghiacciate.
Prende il via, quindi, una ricerca che maschera dietro il desiderio, un po’ goffo e ancora una volta infantile, di vendetta, la necessità di un ultimo abbraccio, ormai postumo, con il proprio padre. Il film coniuga il sapore della fuga, tipico di ogni Road Movie, e quello, finalmente consapevole, del ritorno. In mezzo c’è un lungo e sofferto viaggio di formazione e maturazione che passa, inesorabilmente, dal contatto umano. Si incrociano, sfiorandosi appena, tante e differenti solitudini. Per ultima arriverà quella di un boia ormai vecchio e segnato. E l’immagine che Sorrentino ci consegna ha la forza terribile della colpa, la più inumana, da espiare. Perché, pur non essendo un film sull’olocausto, This Must Be The Place riesce in poche sequenze a dare voce ad uno dei genocidi più infamanti della storia dell’uomo (nonostante qualcuno trovi ancora la forza di "scherzarci" sopra).
Nella galleria di personaggi che il regista napoletano ha sino a questo ultimo capitolo affidato allo schermo, lo Cheyenne di Sean Penn (vincitore morale, in attesa della proclamazione, del premio come migliore attore) entra di diritto ai primi posti. Il lavoro fatto dall’interprete è straordinario. Il trucco ed i costumi aiutano ma la magia è data tutta dalla capacità di far vibrare e recitare ogni parte del corpo. Forse, proprio perché consapevole di questo, in This Must Be The Place Sorrentino indaga, con nostalgica tenerezza, ogni piega del volto ed ogni movimento. A completare il tutto c’è un uso della voce che meriterebbe di non essere stravolto da un doppiaggio che certo non riuscirà a garantire l’autenticità della versione originale. È una voce che si sposa, tra similitudini ed opposizioni, con la splendida colonna sonora dominata da David Byrne dei Talking Heads (il titolo del film riprende proprio una delle canzoni più note della band). Ma a Penn si affiancano attori e personaggi imprescindibili per la riuscita del racconto. Un piccolo gioiello è il ruolo di Frances McDormand ma altrettanto importanti e ben caratterizzati sono quelli di Eve Hewson, Harry Dean Stanton e Judd Hirsch.
Come in tutti i film di Sorrentino la realtà è esasperata, ed il virtuosismo del suo modo di girare e di concepire il racconto cinematografico invita con estrema dolcezza lo spettatore ad entrarvi ed a perdercisi dentro. Sono estremamente rari i momenti in cui l’immagine si fa statica. Per quasi l’intera durata del film si succedono, senza soluzione di continuità, movimenti di macchina e cambi di punti di vista. Ma nulla di tutto questo altera il senso di verità di una storia che nasce e resta semplice (torna alla mente A Straight Story di David Lynch). Inutile quindi andare a ricercare particolari significati e più o meno edificanti messaggi. Basta il piacere di vedere del cinema che ha come prima urgenza quella, naturale e spontanea, di raccontare la crisi di un uomo, insieme unica ed uguale a quella di tanti altri, servendosi di un linguaggio la cui forza non accenna a diminuire. Forse non tutto gira nel verso giusto, magari qualcuno dirà che manca ancora qualcosa, ma questo piccolo sentore di imperfezione, almeno per chi scrive, rende This Must Be The Place ancora più in grado di affascinare.


CAST & CREDITS

(This Must Be The Place) Regia e soggetto: Paolo Sorrentino; sceneggiatura: Paolo Sorrentino, Umberto Contarello; fotografia: Luca Bigazzi; montaggio: Cristiano Travaglioli; musica: David Byrne; interpreti: Cheyenne (Sean Penn), Frances McDormand (Jane), Judd Hirsch (Mordecai Midler), Eve Hewson (Mary), Kerry Condon (Rachel); produzione: Indigo Film, Lucky Red, Medusa Film; distribuzione: ARP; origine: Italia, Francia, Irlanda; durata: 118’.


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