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’till Madness Do Us Part

Pubblicato il 5 settembre 2013 da Giammario Di Risio

VOTO:

'till Madness Do Us Part

Il sole non lo vediamo mai, praticamente non esiste. Il cielo non lo vediamo mai, anch’esso non è rintracciabile. Siamo catapultati nel rione dei “dannati”, coloro i quali hanno sfidato la società cinese e si ritrovano, ammassati e sporchi, in minuscole stanze in cui la pazzia governa e raccoglie istinti. Non ci sono finestre e l’unica soluzione è dormire, o ciondolare nei corridoi, e attendere che l’anima lentamente sprofondi in una sorda agonia. La macchina da presa diventa testimonianza di un’umanità disperata che si autogoverna nella follia mentre dall’alto, a un tratto, scende copiosa la neve.

Da questo documentario lo spettatore riceve continui pugni nello stomaco; il tutto è gestito dai movimenti, con macchina a mano, del talentuoso Wang Bing, già ospite a Venezia con The Ditch e Three Sisters. Il luogo è un penitenziario/manicomio cinese dove sono letteralmente ammassati delinquenti, semplici reietti della società e schizofrenici. L’obiettivo li segue, li incastra nella loro condizione tragica, tra minuscole celle che “sanno” di escrementi e corridoi che si perdono nell’oscurità della notte. Le precarie soluzioni, per questi cento uomini dimenticati dal mondo esterno, sono fornite da un personale medico intento a sedare, visto che di curare non se ne parla proprio, o picchiare, quando qualcuno la combina “grossa”.

In questo inferno il linguaggio del documentario cerca di fornire spazi non solo per denunciare, ma anche per mostrare, giustamente, un pizzico di dignità umana; da qui l’idea di prendere e ritrovare, nel corso delle tre ore e venti di narrazione, specifici volti, occhi che interagiscono con l’obiettivo creando un reticolato emozionale fitto e che contrasta con il mondo circostante. Il regista per queste figure utilizza inoltre dei sottotitoli informativi che ci sentenziano i lunghi periodi di detenzione dei carcerati.

Un documentario che da un lato si aggancia alla realtà cruda e violenta e dall’altro, mediante l’arte manipolatoria di Bing, riscopre un percorso intimo, alienante e poetico al tempo stesso. Discreta la presenza in sala, qui a Venezia, durante la proiezione speciale, a cui ha assistito la delegazione del film capitanata dal regista stesso.


CAST & CREDITS

(Feng ai); Regia: Wang Bing; origine: Cina, 2013; durata:227’;


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