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Tomboy - Trucco d’amore

Pubblicato il 1 luglio 2020 da Francesca Pistocchi
VOTO:


Tomboy - Trucco d'amore

Il più grande pericolo in cui possa incorrere una commedia come Tomboy – trucco d’amore, tutta giocata sugli stereotipi di genere, è il rischio di trasformarsi nel festival delle banalità: da bravo maschiaccio, Tori (Makenzie Vega) ama lo sport, odia i tacchi e passa le sue serate sgranocchiando schifezze in compagnia del padre e del migliore amico Adam (Tom Maden). La sua sagacia e la sua schiettezza (doti prettamente maschili!) le permettono di occupare una posizione importante all’interno della compagnia pubblicitaria per cui lavora. Il boss, un adorabile grassone dalla battuta sempre pronta, vede quasi un suo simile in questa donna tutta d’un pezzo che non si lascia intimorire dalla rigida gerarchia aziendale e parla coi piedi sulla scrivania. Nel tempo libero, la ragazza allena la squadra di baseball del quartiere, trangugia birra e arachidi al pub più vicino e urla davanti al televisore su cui trasmettono una qualche partita. Odia il vino rosso, lo smalto alle unghie, gli abiti da sera e tutte quelle bizzarre pratiche occulte che contraddistinguono la cosiddetta sfera del femminile: come spalmarsi in faccia un intruglio di bellezza, mangiare sushi o pettinarsi i capelli. L’abbiamo già detto che Tori è un maschiaccio? Per inculcare il concetto nel cervello dello spettatore con maggiore chiarezza, entra dunque in scena la collega Krista (Sal Stowers). Non si capisce bene quale sia il suo ruolo all’interno della storia, a parte quello di apparire dolce, sensibile, elegante, sensuale, eccetera. Le sue passioni sono flirtare al telefono, appoggiarsi fette di cetriolo sugli occhi, mettersi il rossetto e, ovviamente, fare shopping. Insomma, la logica è quella dell’antitesi: come Stanlio era magro e Ollio era grasso, Krista porta la gonna e Tori i pantaloni. Più che dei pregiudizi altrui, entrambe sembrano essere vittime dell’universo manicheo di Lee Friedlander, in cui l’imperativo «sii te stesso a qualunque costo» potrebbe parafrasarsi soltanto con un “sentiti libero di indossare i preconcetti altrui”. In poche parole, anche le ragazzacce come Tori sognano il principe azzurro e perfino le fate turchine come Krista ogni tanto mangiano i tacos: incredibile ma vero!

Saltellando goffamente da un cliché all’altro, il regista fa innamorare Toni dell’idiota di turno (colpevole di preferire la donna in tacchi a spillo rispetto a quella con le sneakers ai piedi), trasformandola in una bambolina tutta sbuffi e vestitini. Naturalmente, la ragazza non si sente a suo agio e scivola in un gorgo di autocompatimento smarrendo quella fiducia e quell’autostima che prima, in versione maschiaccio, non le erano mai mancate. Anche Krista mente, fingendosi una sportiva per piacere ad un affascinante atleta, quando invece l’unico suo interesse è avvolgere la bella chioma in un morbido asciugamano e procedere serena alla limatura delle unghie. Il momento in cui il (quasi) fidanzato scopre la verità è il più esilarante in assoluto: l’orribile menzogna lo sconvolge, si sente tradito, preso in giro. A Krista non piace andare a correre! Krista preferisce il sashimi di salmone agli hot dog! Come ha potuto! Lei piange disperata. Intanto Tori colleziona un paio di brutte figure con il suo idiota di turno, presentandosi in abiti maschili ad un galà (esistono ancora i galà?) e facendolo sfigurare davanti ai fotografi di mezzo mondo: strano ma vero, il nostro Mr. Grey se ne frega altamente della protagonista, della sua personalità e della sua meravigliosa essenza interiore, lui vuole solo una bella statuina da esibire agli eventi mondani. Ci si chiede come mai ad un cocktail party del ventunesimo secolo una donna in giacca e cravatta causi ancora un tale scandalo, avesse almeno sfoderato una tuta da ginnastica! Friedlander dovrebbe correggere il tiro di qualche decennio. Piuttosto insopportabile, inoltre, la morale conclusiva sul sapersi accettare e bla bla bla: nel tentativo di apparire corretto a tutti i costi, il film sfocia nella scorrettezza e in una superficialità a tratti stucchevole. Non che ciò lo renda meno divertente, ma considerate le intenzioni, l’esperimento non può certo dirsi riuscito.

Paradossalmente, intorno agli stereotipi di genere è quasi più facile costruire un dramma che non una commedia – basti pensare alla Laure-Michael di Céline Sciamma o alla più nota Emma dai capelli blu, il cui definirsi un “maschiaccio” sottintende molte più sfumature che non la solita immagine monodimensionale della ragazzina con le scarpe da tennis e i pantaloncini. Se invece si vuole scherzare su tematiche simili, occorre forse un po’ più di coraggio: inutile proclamare guerra alle convenzioni sociali se non si è in grado di includere nel proprio mondo nemmeno l’amicizia fra uomo e donna. Perché infatti, alla fine Tori si mette con Adam, l’amico del cuore che (guarda caso!) l’ha sempre amata. Inutile aggiungere altro.


(Tomboy – trucco d’amore); Regia: Lee Friedlander; sceneggiatura: Jamie Jensen; fotografia: James W. Wrenn; montaggio: Daniel Raj Koobir; interpreti: Makenzie Vega (Tori), Greg Perrow (Brian), Tom Maden (Adam), Krista (Sal Stowers), Jeff Pierre (Sam); produzione: Lauren Balson Carter, Larry Levinson, James Wilberger; origine: USA, 2018; durata: 85’


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