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Trap Street

Pubblicato il 1 settembre 2013 da Giammario Di Risio

VOTO:

Trap Street

Siamo in Oriente, precisamente in una Cina controllata dall’occhio digitale. Tonalità giallo ocra entrano in gioco con i rumori della città, anzi, con una precisa strada che scopriremo poi testimone silenzioso, quanto determinante, dell’intreccio. In questo mondo i rapporti famigliari vivono di poca comunicazione e di evidente distanza generazionale. Intanto scopriamo che due anime, come il pulviscolo divenuto inesorabilmente smog, dalla magia di un incontro passeranno all’abisso inerte di una distanza.

Li Qiuming è un giovane ingegnere topografico che da tempo vive solo. La sua comunicazione con il padre è ai minimi storici mentre la madre, invece di intervenire, asseconda l’atmosfera pesante. Qiuming la mattina è costretto a fare lo stagista in un’azienda per mappature digitali e il pomeriggio installa abusivamente fotocamere con un suo amico. Ma arriva un giorno in cui incontra l’affascinante scienziata Guan Lifen, al Vicolo della Foresta n. 203. Lo sguardo morbido e innamorato del ragazzo presto coinvolgerà la ragazza; ma quel posto nasconde dei segreti di Stato la cui riservatezza non può essere minimamente messa in crisi da questi eroi dal cuore grande.

La parte iniziale è caratterizzata da movimenti di macchina gestiti con grande delicatezza, soprattutto nelle fasi dell’incontro. Lo spazio esterno del laboratorio di Lifen puntella gli snodi drammaturgici, mentre la pioggia notturna, e un sole opaco, si fanno estensione dei sentimenti dei personaggi. Poi però entra a gamba tesa il tema del controllo dello Stato cinese nella vicenda e va tutto in malora; perdiamo, di fatto, per quasi venti minuti il personaggio femminile mentre quello maschile, che pensavamo intraprendente quanto smaliziato, ecco che risulta inesorabilmente in balìa di forza esterne tra interrogatori estenuanti, rapporti famigliari che si liquefanno e amicizie che svaniscono.

L’opacità del potere mediante la metafora dell’occhio digitale, come nella serie televisiva americana “Person of Interest”, non è una novità e nemmeno la sovrapposizione a tale contenitore della metafora topografica, con vie e reticolati granitici. La critica ideologica poi non gode di nervatura atta a farci riflettere e l’unica cosa che ci resta è la prima mezz’ora di film, caratterizzata da un lavoro di messinscena notevole. Troppo poco per un film che vorrebbe denunciare e che invece si accartoccia inesorabilmente.


CAST & CREDITS

(Shuiyin Jie); Regia: Vivian Qu; sceneggiatura: Vivian Qu; fotografia: Tian Li, Matthieu Laclau montaggio:Yang Hongyu; musica: Zhang Yang; interpreti: Lu Yulai, He Wenchao produzione: 22 Hours Films; origine: Cina, 2013; durata: (esempio) 93’;


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