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Tutta colpa dell’amore

Pubblicato il 20 dicembre 2002 da Alessandro Izzi


Tutta colpa dell'amore

Nella logica produttiva della Miramax, che da qualche tempo si è orientata verso una formula standard che prevede la distribuzione, a poca distanza l’una dell’altra, di una commedia romantica e di una favola a cartoni animati per i più piccini, questo film di Andy Tennant occupa una posizione strategica di incredibile retroguardia. Studiata a tavolino, quasi fosse una mossa fondamentale in quella complessa partita di Risiko che è, oggi, l’industria cinematografica americana, l’intera pellicola ci appare, infatti, come un sostanziale puntello per quelle retroguardie del buon gusto e dei buoni sentimenti che erano state evidentemente fiaccate, ma mai sconfitte del tutto, da certe commediacce becere e, almeno apparentemente, politically uncorrect. Che poi la dimensione politica di opere come La cosa più dolce o Tutti pazzi per Mary sia tutto fuorché limpida, esula un po’ troppo dai confini della nostra indagine. In questo senso, la struttura narrativa di quest’ennesimo prodotto seriale ruota tutta intorno ad una specie di scoperta dell’acqua calda, fermandosi in una sostanziale glorificazione, nel pieno rispetto delle vecchie ed inattaccabili tradizioni, della formula standard della commediola romantica ad uso di coppiette pomicianti nei cinema (una specie, invero, in via d’estinzione). Tale struttura potrebbe essere rapidamente sintetizzata nel soggetto base buono per tutte le occasioni: “Lui ama Lei; Lei ama Lui, ma qualcosa giunge a complicare il lieto e necessitante matrimonio per dare spazio a due ore di prevedibili colpi di scena”. Sulla base di questa semplice formuletta gli autori hanno imbastito un’operina di gradevole confezione (come sempre quando la Disney ci mette lo zampino), ma di stancante inutilità. Nel proliferare di ignobili soluzioni narrative la Lei di turno decide che il matrimonio contratto con il Lui di turno (e a cui era predestinata fin da piccola, perché cose come l’amore e il matrimonio sono decise a tavolino da dèi primigeni che scrivono il nostro fato su pagine che poi dimenticano di mostrarci) non è proprio dei migliori. Certo con Lui, Lei stava bene: rideva quando doveva ridere e aveva i suoi momenti di felicità e romanticismo. Ma come riuscire a perdonargli l’essersi presentato al matrimonio (da buon esponente qual è dei sani principi della provincia del profondo sud americano) completamente ubriaco e di averla ingravidata così, alla prima notte di nozze, in qualche squallido motel tra crisi di vomito? Sicché, fatte armi e bagagli la donna decide di cercare fortuna altrove e diventa rinnegando il suo passato, una grande stilista. Qui, nella grande città, Lei incontra, ovviamente, un Altro Lui che è l’esatto opposto del precedente (se il primo era biondo, il secondo è bruno, se il primo era povero in canna, il secondo è invece ricco e figlio del sindaco di New York, se il primo è insensibile, il secondo è un modello di premure e di amore assoluto). Ovvia, a questo punto, la scintilla e la seguente richiesta di matrimonio (la scena, suonate le trombe, è girata, per davvero, da Tiffany). Ovvio il ritorno a casa di Lei per far firmare al primo Lui le carte del divorzio e ovvio, infine, il fatto, che non appena Lei rimette gli occhi su di Lui la vecchia fiamma (lo ripetiamo, scritta dagli dei) si riaccenda gettandola in confusione. Cosa fare: sposare l’uomo dei sogni di ogni donna, pieno di soldi e di premure? O prendere in mano le redini del passato e riscoprire, così, i sani valori della famiglia, del passato, dell’amore che vince le avversità e dei figli pigolanti sul porticato di casa in attesa della limonata nella calura estiva? Non sveliamo il finale, ma confessiamo che, tra uno sbadiglio e l’altro, noi abbiamo tifato per il nuovo Lui, perché siamo convinti che per quanto eterni possano essere i vincoli d’amore, l’unica cosa che resta veramente immutabile è il fatto che le persone cambiano, maturano, diventano più sagge e desiderose di scoprire cose nuove. Reese Witherspoon che, oltre ad essere la bionda in cerca di rivincita nella sua precedente e ben più graffiante commedia, era anche colei che scopriva, in Pleasentville di Gary Ross, l’importanza di crescere e scoprire la vera se stessa è la vera ed unica protagonista di tutta la pellicola. Qui, apparentemente, l’attrice, definitivamente inglobata dal sistema, cerca solo di essere una copia malsana di Meg Ryan confermando quella massima secondo la quale oggi esistono solo due tipi di commedia romantica: quella con Meg Ryan e quella senza. Delle due preferiamo la prima.

Regia: Andy Tennant; sceneggiatura: C. Jay Cox; fotografia: Andrew Dunn; montaggio: Troy Takaki; musica: George Fenton; interpreti: Reese Witherspoon , Josh Lucas, Patrick Dempsey, Candice Bergen, Ethan Embry; produzione: Touchstone Pictures; origine: Stati Uniti/Germania 2002; distribuzione: Buena Vista

[dicembre 2002]

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