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Tutto il mio folle amore

Pubblicato il 8 novembre 2019 da Giulia Genovese
VOTO:


Tutto il mio folle amore

«La struttura alare di un calabrone non è adatta al suo peso; ma lui non lo sa e vola lo stesso».

A un anno di distanza da Il ragazzo invisibile: Seconda generazione – sequel, non molto riuscito, de Il ragazzo invisibileGabriele Salvatores (Mediterraneo) torna in sala con Tutto il mio folle amore, trasposizione del romanzo di Fulvio Ervas, Se ti abbraccio non aver paura – tratto da una storia vera. Presentata fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, lo scorso 6 Settembre, la pellicola è stata adattata per il cinema dallo stesso regista, insieme al co-sceneggiatore de La grande bellezza, Umberto Contarello (Io e te) e Sara Mosetti (Io, Leonardo).

«Sei come un animale e dovrei trattarti come tale».

Il film – incentrato sul rapporto tra un adolescente autistico e il padre che lo aveva abbandonato alla nascita, senza mai (ri)conoscerlo – si apre con una corsa di cavalli in un ippodromo, dove il giovane Vincent (Giulio Pranno) li insegue, al loro stesso modo, come un forsennato. Questi puledri febbricitanti – capaci di passare da uno stato di quiete alla totale incontrollabilità – rappresentano il suo alter ego e si palesano, più volte, nella narrazione; diventandone, però e a lungo andare, un elemento didascalico.

«Loro ci danno i soldi e noi diamo patate».

Nonostante l’importanza socio-psicologica della tematica del disagio mentale, Tutto il mio folle amore cade sempre più a fondo, minuto dopo minuto, inquadratura dopo inquadratura, arrivando allo scult più totale. Non sono pochi, infatti, i momenti d’imbarazzo e di risate involontarie che Salvatores e i co-autori dello script suscitano nello spettatore: dalla scena in cui Vincent defeca nella doccia – ripresa, spudoratamente, senza lasciare nulla all’immaginazione – a quella del ristorante in cui il ragazzo e il vero padre Willi ordinano delle patate al forno – con tutti i doppi sensi del caso, messi ben in evidenza – passando per un paio di sequenze nelle quali i due approcciano con una prostituta – intenta ad iniziare Vincent alla sessualità – e si ritrovano, poi, in un club di spogliarelliste. Si continua, sul medesimo registro, con il tripudio kitsch di una balera frequentata da anziane signore in abiti dall’eleganza discutibile – tentativo di emulare, forse ed inutilmente, proprio l’opera più acclamata di Paolo Sorrentino, firmata, appunto, dallo stesso Contarello – e di una comunità di motociclisti metallari croati – che sembrano usciti dalla mente di George Miller e dal suo Mad Max: Fury Road. In tutto ciò, ci si spinge fino all’improbabile e la condizione autistica viene, terribilmente, ridicolizzata; in modo irrispettoso e, a tratti, persino offensivo verso coloro che la vivono in prima persona – che attraverso il protagonista, vengono resti in modo poco veritiero e, addirittura, macchiettistico.

«Dopo la grande sfiga, arriva la grande fortuna».

Anche il cast non riesce ad elevare, minimamente, tale prodotto, di un livello fallimentare francamente difficile da raggiungere. Claudio Santamaria (Lo Chiamavano Jeeg Robot) – che veste i panni di Willi – recita anche in dialetto siciliano e si arrabatta come cantante, facendosi soprannominare il "Domenico Modugno della Dalmazia" – citato, non a caso, con la canzone del titolo. Peccato che non sembri mai essere, davvero, nella parte. Valeria Golino (Rain Man – L’Uomo della Pioggia) è, piuttosto, inesistente nel ruolo della madre Elena; così, come Diego Abatantuono (Io Non Ho Paura) – che interpreta il padre adottivo, Mario – si sposa benissimo con la ridicolaggine e la comicità trash da cinepanettone. L’esordiente Giulio Pranno – al quale vogliamo concedere il beneficio del dubbio di essersi trovato, inconsapevolmente, sul set sbagliato – è, infine, troppo giovane, acerbo e senza esperienza per sostenere un personaggio complesso e sfaccettato come Vincent.

«La felicità non è un diritto, è un gran colpo di culo».

Tutto il mio folle amore rimane un pessimo, scurrile e rocambolesco romanzo di formazione on the road; probabilmente, il picco più basso della carriera (in discesa?) di Gabriele Salvatores. E non bastano l’accesa fotografia, qualche inquadratura studiata ad hoc di effetti speciali o una cover di Mad world – brano presente nel cult Donnie Darko, che della malattia mentale ne faceva un trip fantascientifico memorabile e dalla drammaticità devastante – a strappare la lacrimuccia; su un finale che utilizza l’espediente, già visto, di un dialogo senza parole.


CAST & CREDITS

(Tutto il mio folle amore); Regia: Gabriele Salvatores; sceneggiatura: Umberto Contarello, Sara Mosetti (dal romanzo di Fulvio Ervas); fotografia: Italo Petriccione; montaggio: Massimo Fiocchi; musica: Mauro Pagani; interpreti: Claudio Santamaria, Valeria Golino, Diego Abatantuono, Giulio Pranno; produzione: Indiana Production Company, Rai Cinema, Effetti Digitali Italiani (EDI); distribuzione: 01 Distribution; origine: Italia, 2019; durata: 97’; webinfo: http://www.01distribution.it/film/t...


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