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"Tutto per bene" al teatro Argentina per la regia di Gabriele Lavia

Pubblicato il 2 febbraio 2012 da Laura Khasiev


"Tutto per bene" al teatro Argentina per la regia di Gabriele Lavia

I colori sono tenui, quelli del salotto borghese, non c’è nulla che stoni, per carità! Ogni mobile è al suo posto, ogni costume è curato nei particolari, le luci regalano sfumature suggestive allo spazio scenico, regalando tonalità che si fanno culla di una storia ormai passata, con la quale Gabriele Lavia ha tentato di dire delle nuove verità...forse... Un regista, un attore, un padre, nella pièce e nella realtà, che come di consueto in Pirandello, si confonde con la finzione, con essa si interseca, insinuandosi nelle menti degli spettatori, che ora sono davanti a Pirandello e a Lavia, attore e regista, all’apice della sua carriera, a Lucia, la figlia agli esordi nel lavoro di attrice, e da ciò nascono domande che esulano da ciò che è prettamente teatrale... Inutile ingannarci e fingere che tra la platea del teatro Argentina, durante la visione di Tutto per bene, gli spettatori non si siano posti domande sul modo di recitare di una figlia d’arte, che accanto al suo più grande maestro, col quale ha anche un legame di sangue, si è presentata come impeccabile, nell’aspetto e nell’interpretazione. Dunque possiamo affermare senza dubbio che i figli di Gabriele non hanno nulla da invidare al loro ingombrante e celebre padre... Chiaramente non per questo passa in secondo piano la resa registica, vero punto della questione critica, di questo dramma, che Pirandello portò in scena in seguito alla Marcia su Roma dei Fascisti, negli anni ’20 del Novecento, oggi resta ben poco che abbia connessione con l’attuale contesto storico. Tutto ciò che riguarda il perbenismo borghese dovrebbe essere più che superato passati i duemila anni di storia, però qualche riferimento al presente questo testo sembra ancora contenerlo. Lavia si fa astuto e sfrutta ogni segno scenico per comunicare al suo pubblico il possibile attualismo contenuto nella vicenda e poi bisogna ammettere che la letteratura, specialmente se pirandelliana, ha il potere di parlare ad ogni epoca, perché in ogni opera del grande artista vi sono come degli scompartimenti, a mo’ di scatola cinese, attraverso i quali si scoprono sempre nuove verità. Bisogna capire se il regista in questione sia stato in grado di far parlare quest’opera al pubblico odierno. Una cosa è certa, Gabriele Lavia ha individuato quell’assolutismo presente nello scrittore, per il quale (parafarasando una dichiarazione del regista stesso), o si è pazzi o si è santi, la dicotomia è infatti sempre vivida nella rappresentazione, a partire dalla composizione scenografica e passando per il modo di interpretare, sino ovviamente allo schieramento dei personaggi, che si muovono tra aspirazione al vero e finzione perbenistica. Una scena che comunica esplicitamente tale opposizione, infatti posizionata fra il pubblico e il palco una enorme lapide, quella della moglie del povero Martino Lori, un’ingombrante assenza che presenzia la scena, segno di morte, probabilmente riferibile ad una società che sembra regredire, o forse a un qualcosa che come la moglie di Lori, in passato costituiva un pilatsro e ora invece è seppellito e morto e non solo, vive attraverso la menzogna quindi si può dire che essa ci appaia come una perfetta metafora del teatro, luogo della finzione, che un tempo era una delle roccheforti della nostra cultura e che oggi invece è stato depapuperato di ogni sua valenza all’interno della società, orientata a ben altro genere di interessi. A rievocare questa moglie un’immagine, una danzatrice che dietro ad un telo velato si muove sinuosa, come un fantasma, un ombra, figura che c’è e non c’è, e inevitabile il rimando a ciò che costituisce l’arte oggi... Ma questa visione assai forzata può essere solamente un’ipotesi, che è balenata fra i pensieri di spettatori e critici, non sappiamo cosa davvero abbia spinto il regista a voler rispolverare un testo così lontano nel tempo, la sua interpretazione ha lasciato perplesso il pubblico, che pur avendo applaudito senza tregua, ha fatto percepire qualche esitazione nell’esntusiasmo, forse perché calcare così tanto un personaggio così drammatico, oggi non ha più molto senso, per quanto sia adeguata la drammaticità che l’attore ha conferito all’uomo tradito dalla moglie e dalla figlia, che non è sua figlia, ma che per mantenere "tutto per bene" lo resta, almeno nel suo cuore, laddove già una ferita ha affondato il suo dolore, portando via i ricordi di una donna amata e creduta vera nelle sue attenzioni, che invece è stata solo uno dei tasselli del gioco sporco, tramato alle spalle di Martino Lori. Nonostante la beffa l’uomo come ultimo gesto, torna, come ogni giorno, davanti alla lapide di una donna che non c’è più, o che forse non c’è mai stata...e fa soccombere questo dubbio con la certezza della sua quotidiana e perpetua azione del portarle dei fiori, una formalità che schiaccia la bugia con la sua patina perbenista e lascia che tutto finisca "per bene".


(Tutto per bene); Regia: Gabriele Lavia; drammaturgia: Luigi Pirandello; luci: ; scenografie: Alessandro Camera; costumi: Andrea Viotti; interpreti: (Gabriele Lavia), (Lucia Lavia), (Riccardo Montillo), (Daniela Poggi), (Roberto Bisacco), (Riccardo Bocci), (Giorgio Crisafi), (Gianni De Lellis), (Giulia Galiani); danzatrice: Alessandra Cristiani;teatro e date spettacolo: Teatro Argentina dall’11 gennaio al 10 febbraio ; info: produzione Teatro di Roma.


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