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Un affare di famiglia

Pubblicato il 20 settembre 2018 da Stefano Colagiovanni
VOTO:


Un affare di famiglia

"Io l’ho trovata; qualcun altro l’ha abbandonata..."
- Nobuyo

Il cinema di Hirokazu Kore-eda si è distinto da sempre per una maniacale attenzione e tendenza nel voler sondare aspetti, dinamiche e rapporti interpersonali in contesti famigliari; da Still walking a Father and son, fino a Little sister e Ritratto di famiglia con tempesta, il cineasta giapponese ha ricercato, spesso trovandole, l’effimera bellezza dei rapporti di sangue, le luci e i lati oscuri, le privazioni e le condivisioni di gioie e dolori, perennemente contestualizzate in ambienti opprimenti, umili, incasellati in un cinema costruito quasi totalmente in interni, come a richiamare i lineamenti del glorioso cinema di Yasujirō Ozu.

Con Un affare di famigliaShoplifters, ovvero “taccheggiatori” è il titolo scelto per il mercato internazionale – è arrivata la Palma d’Oro al recente Festival di Cannes, primo grande riconoscimento per Kore-eda in ambito festivaliero. I temi, come è facile intuire, non cambiano e le recenti critiche mosse al regista giapponese, incapace secondo queste di muoversi al di là di tali limiti contenutistici autoimposti, ha trovato più di qualche strenuo sostenitore. Certo, Un affare di famiglia non si discosta affatto dal leitmotiv dei precedenti – e straordinari – lavori di Kore-eda, ma ciò non può inficiare il giudizio su un’opera dall’alto valore artistico, commovente nel tentativo di rappresentare la realtà.

I taccheggiatori indicati dal titolo sono Osamu (Lily Franky) e un ragazzino di nome Shota (Jyo Kairi), che prendono abitualmente di mira un supermercato; i due sembrano padre e figlio e vivono in una minuscola casetta nella super-cementificata e affollata periferia di Tokyo assieme a un’anziana signora che chiamano nonna (Kirin Kiki), una donna di nome Nobuyo (Sakura Andō) che si comporta come la compagna di Osamu, e la giovane Aki (Mayu Matsuoka); una sera, di ritorno da una delle loro sortite, Osamu e Shota si imbattono in una bambinadi nome Yuri (Miyo Sasaki) sola e infreddolita e decidono di portarla a casa con loro, cosicché potrà trovare riparo dal gelo. I componenti della “famiglia”, però, affezionatisi da subito alla piccola, che ribattezzano Rin, decidono di tenerla con loro, come un nuovo membro del loro nucleo famigliare.

I personaggi tratteggiati da Kore-eda – scaltro nel mettere in scena un gruppo famigliare improprio, nel senso più stretto del termine – sono degli antieroi che annaspano per restare a galla in una società impastoiata tra rigidi schemi sociali e legali, incapace di discernere con la dovuta sensibilità cosa è giusto e cosa non lo è, sia che si tratti di rapporti di parentela, in questo caso deteriorati – ne sono due lampanti esempi la storia dell’abbandono del giovane Shota e la condizione negletta in cui è costretta la piccola Rin, prigioniera di genitori abulici e violenti – sia che si focalizzi sui principi ai quali si ancora un nucleo famigliare – non è un caso che Osamu non perda occasione per spronare Shota a rubare, spingendolo a tramandare i suoi insegnamenti anche alla piccola Rin.

Allo stesso tempo Kore-eda riesce con delicatezza a mostrare il dramma di una condizione di vita precaria: i suoi protagonisti sono individui scellerati, in fuga da un passato che non hanno mai accettato, che nascondono neri segreti e hanno compreso che l’unico modo per poter sopravvivere è tradire quegli stessi ideali di correttezza e onestà su cui una famiglia dovrebbe ergersi; d’altro canto mostrano più umanità di quanta ne ostentino i violenti genitori di Rin, o i cechi esponenti dei servizi sociali – da cui Kore-eda prende quasi le distanze, lasciando con garbo che sia lo spettatore a giudicare il doppio risvolto di una situazione ambigua per necessità di trama.

La famiglia messa in scena da Kore-eda sfugge a ogni schema precostituito, rinnega l’opulenza materiale – i protagonisti vivono con quel tanto che basta loro per sopravvivere – e si ancora ai soli legami sentimentali: Un affare di famiglia dimostra che sono i sentimenti, genuini e indispensabili, il cuore di un nucleo famigliare che non ha bisogno di altro per poter sprigionare calore e affetti. La vita è una stanza illuminata per metà, nella cui oscurità si celano imprevisti e incognite; tutto è passeggero, tutto è delicato come la pelle di un bambino macchiata da lividi e l’unico fine a cui l’uomo può ambire, secondo Kore-eda, è l’accettazione reciproca, il desiderio di condividere, al di là di rapporti di sangue, al di fuori di preconcetti e limiti sociali.

Un affare di famiglia mostra – ancora una volta – tutta l’umanità e la sensibilità di un autore consapevole che il dramma e la commedia sono solo le due facce di una stessa medaglia. Un affare di famiglia è un delicato canto alla vita, un invito a godere di ogni momento di quiete e spensieratezza, prima che tutto finisca, prima di ritrovarsi di nuovo soli, alle prese con la reale quotidianità. Come un brutto sogno a occhi aperti.


CAST & CREDITS

(Shoplifters); Regia: Hirokazu Kore-eda; sceneggiatura: Hirokazu Kore-eda; fotografia: Ryūto Kondō; montaggio: Hirokazu Kore’eda; musica: Haruomi Hosono; interpreti: Lily Franky, Sakura Andō, Kirin Kiki, Mayu Matsuoka, Jyo Kairi, Miyu Sasaki, Chizuru Ikewaki, Sōsuke Ikematsu; produzione: AOI Promotion, Fuji Television Network, GAGA; distribuzione: BiM Distribuzione; origine: Giappone, 2018; durata: 121’


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