Un altro mondo

Ti lascia inerte e disarmato Un altro mondo di Silvio Muccino.
Come quando un tuo conoscente, di quelli che non frequenti troppo, ti prende da parte e comincia a raccontarti, senza troppe reticenze, come ti conoscesse da anni, i problemi suoi.
Lo ascolti con quel misto di partecipazione e di imbarazzo, accennando di si con la testa ogni tanto anche se non hai del tutto chiaro il senso di quel che ti dice perché, in fondo, non conosci per davvero tutti i nomi che ti snocciola uno dopo l’altro. Soprattutto ti chiedi perché quelle cose le stia dicendo proprio a te. In fin dei conti non è che tu e lui vi siate poi tanto presi. Certo vi incontravate nelle feste comandate e magari un paio di volte vi siete anche ritrovati seduti fianco a fianco, ma mai molto più dei saluti di rito.
Un senso di imbarazzo deve averlo pure lui, comunque, visto che dopo qualche confidenza di troppo comincia a condire il discorso con qualche strizzatina d’occhio e qualche domanda fatta un po’ così, tanto per saggiare il terreno e per vedere se riesce a spingersi ancora un poco oltre. Il campo del discorso così s’allarga ai massimi sistemi trovando gli appigli più improbabili.
Così la signora davanti a voi che si mangiucchia una buona tartina con finto caviale conduce subito il nostro brillante interlocutore a riflessioni dotte sulla fame del mondo, sull’eroismo dei volontari che in Africa ci vanno e lavorano pure negli slums e sul senso della famiglia che, qui in Italia, si perde perché né fratelli né genitori ti capiscono per davvero.
E di filosofema in filosofema, si muove una conversazione che lo senti che è niente più che il chiacchiericcio della festa. Ti dice cose vere, in fondo, ma le tiene in superficie, come un’increspatura leggera che vuole apparire saggia, che vuole far finta di scavare nel vuoto della signora che mangia il finto caviale e proprio non si accorge che intorno c’è gente che soffre.
È proprio così Un altro mondo. Come questo interlocutore che, nel periodo dei cinepanettoni, vuol farti sentire la volgarità del tempo che scorre qui in Italia. Così, nel pieno della festa, ti prende da parte e ti racconta, con sfrontata leggerezza, alcuni drammi destinati al lieto fine. Ti racconta la vuotezza di certi giovani di oggi che si accontentano di sopravvivere e non chiedono più di vivere. Ti racconta di padri che lasciano i figli e di fratelli che si scoprono padri. Ti racconta la differenza tra il nostro mondo e il terzo che vive nella povertà, ma ha ancora quella dignità che noi, invece, abbiamo perso.
Non prende il fare bacchettone. Non interrompe la festa per dire la sua in cerca di una qualche forma di scandalo. Solo ti fa sedere sul divano e, mentre intorno tutti gli altri bevono e si divertono, lui, con la saggezza di una cannetta che neanche ti offre, ti dice di pensarci. Che è importante. Che potrebbe cambiarti la vita.
Ma tu lo senti che sotto la superficie delle frasi un po’ fatte (sia per il fumo che perché son state dette e ridette infinite volte) c’è dell’altro. E quest’altro, hai il sospetto, sono le confidenze fatte ad inizio di discorso, le parole che ti ha detto, così avevi pensato a tutta prima, perché ti aveva scambiato per qualcun altro.
E non hanno niente a che vedere con gli slums, col fratellino di colore con cui si deve imparare a vivere e a cui bisogna essere padre, né coll’Africa. Sono le confidenze di uno che ha un nome ed un cognome e sono Silvio e Muccino. E questo nome e questo cognome ti sono sbattuti in faccia ad ogni inquadratura. Sono il punto di partenza e il punto di arrivo di una riflessione tutta interiore che finge di cercarsi perché crede di essersi già trovata. Così il percorso di coscienza, la crescita interiore è tutta detta a parole, ma mai esperita nei fatti perché da qualunque parte si parta si può sempre e solo arrivare a quel nome e quel cognome.
Nel cinema di Muccino Silvio manca in fondo quello che manca anche nel cinema di Muccino Gabriele: il dubbio. Solo che il secondo non ha dubbi sul suo talento mentre il primo non ha dubbi sulla sua essenza. Così mentre Gabriele cerca l’inquadratura perfetta e il ritmo sincopato, Silvio annaspa nel bisogno della confessione, nell’urgenza di dire che sopravanza sempre, in importanza, la cosa detta.
La cosa triste è che il cinema di Silvio Muccino sarebbe di gran lunga migliore di quello del fratello se da bravo regista cominciasse a usare il cinema per perdersi e non solo, come ha fatto finora, per trovarsi.
(Un altro mondo); Regia: Silvio Muccino; sceneggiatura: Carla Vangelista e Silvio Muccino tratto dall’omonimo romanzo di Carla Vangelista edito da Feltrinelli Editore; fotografia: Marcello Montarsi; montaggio: Cecilia Zanuso; musica: Stefano Arnaldi; interpreti: Silvio Muccino, Michael Rainey Jr., Isabella Ragonese, Greta Scacchi, Maya Sansa; produzione: Cattleya in collaborazione con Universal Pictures; distribuzione: Universal Pictures; origine: Italia, 2010; durata: 110’
