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Un enfant de toi

Pubblicato il 16 novembre 2012 da Antonio Valerio Spera

VOTO:

Un enfant de toi

Il cinema di Jacques Doillon ci ha sempre regalato acuti e sensibili ritratti di famiglia con straordinari personaggi femminili. Un enfant de toi, presentato in concorso al Festival di Roma, si inserisce perfettamente su questa scia. Protagonisti un uomo, Luois, e una donna, Aya: una coppia "scoppiata" ormai da tre anni con una bambina che fa la spola tra le case dei due genitori. Entrambi hanno una nuova storia, lei con un giovane dentista in carriera, lui con una studentessa. Il film inizia con un incontro tra loro, un tentativo di riavvicinamento dopo tanto tempo passato a ricostruirsi una vita. Ma la loro complicità sembra non esser mai svanita e quello che doveva essere un modo per dare tregua alla loro quasi estraneità per il bene della figlia, diventa invece un percorso nascosto di riscoperta reciproca. Un percorso che alla fine costringerà Aya a dover scegliere tra Victor, il fidanzato attuale, e Louis, il grande amore che sembrava ormai irrecuperabile.

Un enfant de toi è un film fatto principalmente di parole. A differenza di tanto cinema intimista di oggi, costruito su silenzi e momenti vuoti, Doillon sceglie la carta del film iperscritto, in cui ogni minimo segmento è fitto di dialoghi, di spiegazioni, di situazioni straparlate. Assistiamo a lunghissime sequenze tra le quattro mura di casa, nei parchi, nei ristoranti, per le strade, in cui i personaggi si confrontano, si scontrano, cercano di capirsi, forse senza mai arrivare ad un vero punto conclusivo. Alla lunga, considerata l’estrema durata del film (140 minuti), il gioco un po’ stanca e appesantisce la (audio)visione. Ma se sicuramente qualche taglio qua e là avrebbe giovato al film, in fondo Un enfant de toi funziona proprio per la sua verbosità e per ciò che questa caratteristica narrativa rappresenta in esso. Doillon vuole infatti mostrare la doppia faccia delle parole, così come in modo simile fece qualche tempo fa De Oliveira con Un filme falado: parola senza dubbio come manifestazione della propria interiorità ma, se abusata e reiterata nella stessa forma e contenuto, elemento sonoro svuotato della sua valenza semantica e indice di un turbine di confusione e insicurezza. In questo turbine sono collocati proprio i tre protagonisti del film, ed in particolare Aya, incapace fino all’ultimo di comprendere i propri e gli altrui sentimenti e desideri e quindi incapace di esprimerli o accoglierli nel concreto. Così dopo giornate intere passate a parlare e ad ascoltare, sarà solo un gesto, uno sguardo, a farle finalmente capire cosa vuole veramente per se stessa.

In Un enfant de toi spesso tempo del racconto e durata del film coincidono. Le ellissi temporali sono tante e nette, ma ogni tassello della pellicola, ogni sequenza sembra essere lasciata al suo svolgimento naturale, senza tagli, senza interruzioni. Doillon lascia che la vita scorra sullo schermo così com’è, e gli attori sono bravissimi nel rendere tutto assolutamente naturale e verosimile. A tratti il racconto ne soffre, ma la lievità con cui il regista mette a nudo la sensibilità dei personaggi, accarezzati dalla macchina da presa, coccolati nei loro dubbi, mette in secondo piano i cali di ritmo. E la parte finale, in cui il tono da commedia prende il sopravvento e l’happy end si manifesta con sublime dolcezza, lascia il sapore di ottimo cinema.


CAST & CREDITS

(Un enfant de toi) Regia e sceneggiatura: Jacques Doillon; fotografia: Renato Berta, Laurent Chalet; montaggio: Frédéric Fichefet; interpreti: Lou Doillon (Aya), Samuel Benchetrit (Louis), Malik Zidi (Victor), Olga Milshtein (Lina), Marilyne Fontaine (Gaelle), Malonn Lévana (Zoe), Marlowe Mitchell (Max); produzione: 4 à 4 Productions; origine: Francia; durata: 140’.


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