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Un minuto di silenzio

Pubblicato il 15 febbraio 2007 da Salvatore Salviano Miceli


Un minuto di silenzio

Raccontare la morte investe e prevede codici ormai stereotipati, comportamenti che divengono rituali nel loro ciclico manifestarsi in contemporanea ad eventi luttuosi. Non solo nel calcio, ma soprattutto nel calcio, il cordoglio si esprime attraverso l’ormai celebre formula del minuto di silenzio. Far precedere lo spettacolo agonistico, di per sé fragoroso in campo e sugli spalti, da quei 60’ secondi di sospensione rimanda ad un gerarchica retorica di valori generalmente sintetizzati dalla parola ‘riflessione’, che, più propriamente, invita a fermarsi davanti ad un qualcosa di definitivo come la morte.
Diventa immediatamente necessario, conseguentemente, nel raccontare ‘la domenica calcistica’, appropriarsi di quel silenzio attraverso registri che, pur appartenendo ad un diverso tipo di giornalismo e ad altri luoghi di culto, e gli stadi così come gli studi televisivi in cui di calcio si parla possono essere definiti, in maniera pagana, tali, sono entrati pienamente a far parte del mondo sportivo.
Durante gli ormai noti eventi accaduti venerdì 27 gennaio, Sky, prima televisione a dare la notizia, rimasta solo per pochi attimi sospesa tra ipotesi e realtà, della morte dell’Ispettore Filippo Raciti, ha repentinamente mostrato il passaggio dalla cronaca sportiva alla cronaca nera. Nei pochi istanti intercorsi tra l’analisi tecnica (in quel momento era intervistato Il ds. del Palermo Rino Foschi) e la comunicazione luttuosa, portata da un trasfigurato Pietro Lo Monaco (L’ad. del Catania), assistiamo alla mutazione dei toni, ad un bilanciamento verso il basso delle voci e delle opinioni. Ci accorgiamo, proprio nel silenzio che si instaura tra i due poli del collegamento, stadio e studio, di come il racconto calcistico si stia apprestando a spogliarsi del ruolo di protagonista per divenire una parentesi, assolutamente marginale, di un resoconto che ha smesso ormai di appartenere al mondo dello sport.
Adeguandosi a questa ibridazione, Mediaset lancia una edizione di Controcampo priva di pubblico, quasi a presagire le decisioni del governo, e la Rai abbassa i toni della sua Domenica Sportiva.
Muta, quindi, il modo di parlare di calcio e di comunicare con gli spettatori, ci si domanda il peso e gli effetti di quei dibattiti, a volte folcloristicamente urlati, che spesso veicolano i contenuti delle trasmissioni sportive e si torna, anche se solo per il breve frangente di una settimana o due, a fare uso di un silenzio più cinematografico che televisivo, che sembra quasi risolversi, nella sua trasfigurazione visiva, in una cancellazione del colore a favore di un ipotetico quanto rigoroso bianco e nero accentuato nelle sue tonalità più scure. Un silenzio che investe il racconto in sé ma che, ancora di più, appartiene al fuori campo, assumendo il ruolo semantico di una pressante voce off.
Ma serve tutto questo? Salvaguardati, infatti, sentimenti come il rispetto ed il cordoglio, il periodico e nefasto, viste le coincidenze nelle quali si verifica, interrogarsi su come venga raccontato il calcio in Tv, sugli effetti che toni troppo accessi possono provocare alle menti più suggestionabili, sulla necessità di riportare la discussione lontano dalle esasperazioni delle polemiche, sembra essere diventato, più che una utile e pragmatica riconsiderazione della comunicazione sportiva, un pistolotto da tirare fuori nei momenti più critici, quando l’intero sistema è, almeno apparentemente, vicino a deflagrare.
Servirebbe forse prendere realmente coscienza del fatto che i media, e la televisione in special modo, oggi, non possono assumersi il ruolo di educatori, sopratutto riguardo un calcio che ormai, lontano dai campi, vive e si nutre, a torto o a ragione, di una polemica che è diventata spettacolo nello spettacolo, ed evitare che ogni evento tragico, legato alla cornice calcistica, si perda nella memoria da sempre labile del nostro paese e diventi fattore propedeutico per considerazioni che, da tempo, hanno smesso di avere un significato in grado di andare oltre la triste retorica, perché spesso non rispettato e perché troppo spesso ci si ferma solo ad esso, di un minuto di silenzio.


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