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Vendicami

Pubblicato il 30 aprile 2010 da Giampiero Francesca


Vendicami

Distinguere fra di loro i tratti somatici di due o più orientali non è sempre cosa semplice. Nel caso di Costello non lo è mai. Un pallottola conficcata nel suo cervello lo ha privato della memoria. Un dettaglio non certo trascurabile se si cerca vendetta, ad Hong Kong. E’ dunque la memoria assente e la completa incapacità di focalizzare volti e nomi lo stratagemma creato da Wai Ka Fai come spunto narrativo per l’ultima fatica di Johnnie To, Vengeance. Un espediente intorno al quale il regista costruisce un racconto carico di tutte le icone e i temi del suo cinema. L’amicizia virile che lega i protagonisti, siano killer della triade o assassini d’oltralpe, l’onore, dovuto a chi combatte dalla tua stessa parte, la lealtà, per chi ti lotta per i tuoi stessi ideali, la vendetta, giusta bilancia che riequilibra ciò che il destino a squilibrato. Come sempre l’etica epica tipica dell’action orientale riempie e caratterizza gesti e scelte dei personaggi in scena. Un etica che conduce inevitabilmente al sacrificio, atto catartico in grado di redimere le colpe di chi ha capito, forse troppo tardi, qual è la strada della giustizia. Giustizia che per Johnnie To, come per molti altri autori orientali, è sinonimo di equilibrio, di bilanciamento di dolori e pene, di colpe e peccati. Giustizia che è sinonimo, ancora una volta, di onore e dignità. Giustizia che è violenza. Una violenza esteticamente meravigliosa che, in Vengeance più che in altre pellicole, si astrae dalla propria carica intrinseca di nefandezza e atrocità per trasformarsi in arte, in danza, in poesia. Una violenza irreale, volutamente finta e simulata, creata per irretire lo spettatore e lasciarlo senza parole.

Ennesimo capitolo di questo racconto dell’epos made in China, Vengeance, pur non essendo certo l’opera più importante di Johnnie To, dimostra, qualora ce ne fosse ancora bisogno, le enormi doti tecniche del regista. Ogni duello, ogni scontro, ogni sparatoria è lo spunto per metter in scena coreografie entusiasmanti, giochi di uomini e armi, danze di proiettili e corpi. Quei corpi che riescono, in una delle scene cardine della pellicola, a ricostruire in una discarica di Macao, un epico campo di battaglia. Sul terreno sconnesso di questa landa, chiusi a testuggine fra le balle di rifiuti, gli eroi sacrificali di Vengance fronteggiano, soli contro un esercito, il loro nemico. Johnnie To ricostruisce un suo ideale 300, in un campo di battaglia in cui i vessilli sono buste di plastica lacere al vento, gli scudi cumuli di immondizia e le lance pistole e mitragliatori. Un sincretismo culturale che coinvolge oriente e occidente, mescolando icone ed immagini d’Asia a stili e topoi europei. Così a muoversi nei caratteristici ralenti di To, danzando fra le pallottole, è uno straordinario Johnny Hallyday nei panni dell’eroe polar. Gli occhi spenti e il volto segnato dell’attore francese, perennemente chiuso nel suo lungo trench nero, colorano di noir le tinte di questo action. Un metling pot di generi e culture, miti moderni ed epici richiami, che fa di Vengeance un action atipico, dimostrando, ancora una volta, quanto il futuro del cinema, e dei suoi generi, sia legato alla contaminazione.


CAST & CREDITS

(Vengeance) Regia: Johnnie To; sceneggiatura:Wai Ka Fai; fotografia:Cheng Siu Keung; montaggio: David Richardson; musica: Lo Tayu; interpreti:Johnny Hallyday (Costello), Anthony Wong (Kwai), Cheung Siu Fai (Wolf), Yuk Ng Sau (Crow), Lam Ka Tung (Chu), Felix Wong (Python); produzione: ARP; origine: Hong Kong; durata: 108’.


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