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Venerdì sera

Pubblicato il 18 settembre 2002 da Alessandro Borri


Venerdì sera

La sensazione che, film dopo film, sembra farsi sempre più netta è che Claire Denis, nata nel 1946, diplomata in regia presso il celebre IDHEC di Parigi e già assistente (da Paris, Texas a Il cielo sopra Berlino) di Wim Wenders, smetta, ad un certo punto della narrazione, di rivolgersi al pubblico. Che, persa improvvisamente (e, irreversibilmente, sempre con maggiore anticipo) in contemplazioni di ordine squisitamente solipsistico, venga sopraffatta da ossessioni egocentriche che la spingono a raccontare il film a se stessa, in un gioco del nascondino che alterna al negarsi e il desiderio di essere scoperta. Il meccanismo dichiarato di Beau Travail, presentato alla Mostra di Venezia nel 1999, era la ricerca, narcisisticamente autoreferenziale, di una chiave (di natura filosofica ed esistenziale, e come sempre palesata ma mai svelata), Trouble Every Day, presente invece a Cannes 2001, aveva diviso le platee col suo sussulto di carnalità fredda, movimenti di macchina superflui e dialoghi scentrati, troppo spesso provocatoriamente artificiosi. Vendredi soir, scelto per la sezione Controcorrente, non si sottrae alla tendenza. Un venerdì sera importante, l’ultimo prima del trasloco che porterà Laure a convivere con il ragazzo François, cambia improvvisamente colore. Mentre Parigi è bloccata da uno sciopero e da un ingorgo, Laure offre un passaggio ad uno sconosciuto. Le poche ore che separano la protagonista dal trasloco del sabato mattina si espandono fino a diventare un microcosmo indipendente rispetto al regolare scorrere del tempo. La pioggia, la noia di una lunga attesa, la sottile angoscia della separazione da luoghi e oggetti abituali si fondono ai visi che la notte metropolitana fa incontrare: nulla e nessuno sembra esprimere gioia, o serenità- i volti compresi, segnati dal passare degli anni, non esprimono nulla. Di più: né Laure, prossima alla convivenza con l’uomo che ama, né Jean, seduttore di una notte, mostrano qualcos’altro se non mestizia. Claire Denis esibisce il suo minimalismo di fronda fin nei gesti più insignificanti, nei movimenti che somigliano ad una danza, leggera come quella dei legionari di Beau Travail: metri e metri di irritanti primi piani che mostrano mani, mani sul volante, mani che toccano una fede nuziale, mani che si sfiorano, mani che si avvicinano agli occhi. L’autocompiacimento spocchioso della regista si fa ancora più volutamente forzato nella seconda parte, quando la camera a mano si lancia in folli perimetrazioni del corpo umano, inquadrature decisamente brutte su indistinti centimetri di pelle intrecciati in un amplesso gelido, sottolineati da particolari inutili (la lunga sequenza di Jean in bagno). La tranche successiva, che vede la coppia di amanti in un ristorante, amplifica ancora, se possibile, il senso di disappunto dello spettatore: sguardi offuscati, il terribile espediente della sovraimpressione per materializzare il ricordo delle precedenti carezze, l’alice che si muove (in una cornice quasi magica) sulla pizza napoletana appena ordinata. Dulcis in fundo, la fuga finale di Laure verso il futuro pianificato che una notte d’amore (proprio per questo straordinaria) non muterà, fissata, in video, da un imbarazzante ralenti.

[31 agosto 2002]

Cast & credits:

regia: Claire Denis interpreti: Valérie Lemercier, Vincent Lindon origine: Francia 2002 durata: 90’.

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