Venezia 64 - Blood Brothers - Fuori Concorso
Opera molto attesa qui al Lido, addirittura selezionata come film di chiusura, Blood Brothers delude le aspettative e conclude malamente un festival che ha invece mostrato nel complesso una qualità molto alta. Il film dell’esordiente al lungometraggio Alexi Tan è un gangster movie ambientato nella Shanghai anni trenta. La metropoli viene descritta come un luogo di delinquenza, di vizi, di perdizione e più che ad una città cinese, essa assomiglia alla Chicago dei noir americani.
E’ forse questo il punto di maggior debolezza del film. Esso infatti manca della suggestione, dell’atmosfera e dell’eleganza del cinema orientale e si spinge verso un’apparenza di ‘americano’, sia per la struttura narrativa sia per le tematiche di fondo. Il risultato finale è dunque un film costruito in puro stile ‘a stelle e strisce’ e risulta quasi ridicolo vedere trasferito in questa confezione un cast interamente cinese e sentire parlare i personaggi in mandarino. E’ vero che anche Takashi Miike in Sukiyaki Western Django, presentato sempre qui a Venezia, attua un procedimento simile realizzando un western ambientato in Nevada interpretato da attori giapponesi (anche se recitano in inglese), ma la differenza sostanziale che c’è tra le due opere – oltre ovviamente al gap autoriale che distanzia i due registi – è che il cineasta di Osaka rielabora il genere distruggendolo dall’interno ed inserendo in esso tutta la sua poetica, invece Alexi Tan ripropone uno stile ed un racconto che non offrono nulla di nuovo.
Blood Brothers (Tiantang kou, il titolo cinese) è un’opera banale, prevedibile, con personaggi mal caratterizzati e con una tecnica alquanto ‘elementare’. L’autore dice di aver preso ispirazione da Sergio Leone e da Martin Scorsese, ma il consiglio che gli si può dare è di rivedersi attentamente le pellicole di questi due maestri e di riconoscere che il suo film non può essere in alcun modo accostabile ad esse né per qualità né per cifra stilistica.
Tan non coinvolge, non emoziona, non dà ritmo al racconto. Non basta infatti parlare di innocenza perduta ed inserire qualche sparatoria per rendere un’opera interessante e godibile. Si avverte la mancanza di uno scheletro narrativo compatto, di una sceneggiatura solida che componga le parti in una struttura unitaria. Assistiamo ad un susseguirsi di eventi che manca di scene di raccordo: tutto è dato per scontato ed in questo modo la narrazione giunge all’epilogo nella maniera più prevedibile.
Unica nota positiva è la bellezza straripante di Shu Qi (ma anche lei non molto espressiva): il suo personaggio, pur inutile al fine del racconto, è la calamita dello sguardo di Tan e dello spettatore, la presenza costante che distoglie l’attenzione dallo svolgersi degli eventi. Ciò, però, non può elevare la qualità del film nè salvarlo dalla noia.
Il maestro dell’action John Woo figura tra i produttori della pellicola: da lui ci si aspettava una scelta migliore.
Antonio Valerio Spera
(Blood Brothers) Regia: Alexi Tan; sceneggiatura: Alexi Tan, Jiang Dan, Tony Chan; fotografia: Michel Taburiaux; montaggio: Cheng Long; musica: Daniel Belardinelli; scenografia: Alfred Yau Wai Ming; costumi: Timmy Yip; interpreti: Daniel Wu (Fung), Zhang Zhen (Mark), Shu Qi (Lulu), Ye Liu (Kang), Tony Yang (Hu); produzione: Lion Rock Production; distribuzione: Fortissimo Films; origine: Cina; durata: 95’.