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Messi

Pubblicato il 2 giugno 2015 da Edoardo Zaccagnini
VOTO:


Messi

La pulce. Così lo conosciamo. Piccolino e composto, che scivola imprendibile su un prato enorme. Che salta fuori come un pesce da quasi impatti con avversari giganti. Che sposta il pallone un attimo prima che le gambe degli altri lo colpiscano. Che silenzioso come un fulmine, dopo 30/40 metri di slalom speciale, passetti passetti, è di nuovo davanti al portiere. Lì guarda la porta e poi si ferma, per un istante brevissimo agita il sinistro, prima di accarezzare la sfera dolcemente e di deporla in fondo al sacco, con delicatezza, morbidamente, neanche fosse un uovo. E dalla sua serafica precisione, si scatena il tuono dello stadio. Facile facile, voilà. Doppiette, triplette, sorrisi ed applausi. Gioco da ragazzi, numeri pazzeschi, palloni d’oro quattro, trofei a secchiate, tranne uno.
Messi. La pulce, che oggi un documentario d’autore dipinge. Alex De La Iglesia ne è l’autore, e se di Messi si sa tanto (pure Saviano ha scritto di lui), la curiosità è parecchia, anche perché sul calciatore più emozionante della Storia (un certo Maradona) un documentario d’autore c’è già stato (quello di Kusturica) ed è un magico gioiello.
Messi non è Maradona, di sicuro non fuori dal campo. E’ silenzioso e dimesso, timido, preciso persino nella straordinaria fantasia, dove l’altro è rumoroso e vulcanico, eccessivo, ma geniale anche con le mani, se serviva, ed è servito. La poesia, però, se non la stessa, è sicuramente tanta per entrambi. La loro danza efficace dà innamoramento, piace e dà allegria. E allora a inizio proiezione guai a chi disturba. Buio, si parte. Tra l’altro il film l’ha scritto Jorge Valdano, altro personaggio interessante, altro argentino di carattere, campione del mondo insieme a Diego, e poi anche pensatore. Penna fine, giornalista e scrittore. E’ lui che narra, che lega Rosario, Buenos Aires e Barcellona, le tre città del film. Che è un ibrido di cose, contaminato di super didascalica finzione, e classico negli ovvi (e splendidi) materiali d’archivio (anche filmini di recite scolastiche, oltre alle prime "sciate" messiane nei campetti di periferia). Oltre alle tante testimonianze degli altri, degli esseri un po’ più umani di lui: calciatori di ieri e di oggi, allenatori, giornalisti, medici e dirigenti sportivi. Argentini e spagnoli, gente di mezzo mondo che ha conosciuto o solo ammirato il piccolo missile mancino. Anche Capello dice qualcosa, si aggrega al gruppo di descrittori del fenomeno, mentre si ripercorre linearmente la sua Storia, di dentro e fuori dal campo. Tutti seduti intorno a tavoli di ristorante, a disquisire sul campione che non protesta, divisi a gruppi per parlare del diamante, del mostro educato rimasto semplice, dell’extraterrestre sbarbato che da bambino non voleva crescere, ma che dribblava tutti come fossero pupazzi. Tutti ad aggiungere particolari al suo romanzo, a fornire dettagli, a svelare retroscena, a riflettere sul suo talento e sul suo ruolo nella storia del calcio. Tutti ad allargare un mito che fuori dal terreno di gioco appare uno come tanti. Nessuno, però, è in grado di far decidere al mondo se Messi sia meglio o peggio di Maradona. Cruyff, Menotti, i compagni di vivaio Iniesta, Piquè e Mascherano. Gli amici d’infanzia (anche la sorella di latte) e addirittura la maestre della scuola. Tutti d’accordo, tutti utili per regalare agli appassionati di calcio e di storie avvincenti, 90 minuti - più recupero -di intrattenimento coinvolgente. Quando, però, si prova a risolvere l’enigma, il film di De La Iglesia rimane all’improvviso senza benzina. Chi vale di più? Il ragazzo che ha sconfitto gli inglesi "invasori" quasi da solo, con la classe e con l’astuzia, o la macchina (quasi) perfetta che segna goal a raffica ma che il mondiale non l’ha ancora vinto? «Maradona era Maradona solo ogni tanto - dice a un certo punto Menotti - Messi è Maradona in ogni momento». Vero, forse, almeno fino a Luglio scorso, ma cosa vuole dire? Contano le emozioni di chi guarda. Sa, Messi, incantare e far star bene lo spettatore, come certi gesti di Maradona fanno stare ogni volta che uno schermo li ripropone? C’è una frase significativa nel film, la cosa che più rimane impressa dell’opera, la sintesi che da oggi in poi ci può venire comoda nelle discussioni calcistiche tra amici: «Messi è l’argentino che vorremmo essere, Maradona è l’argentino che siamo».
Ecco, il secondo, coi suoi alti e bassi, con i suoi inabissamenti e toccate di cielo, con le sue contraddizioni, ha qualcosa in più come soggetto cinematografico. Questo si, questo si può dire.


CAST & CREDITS

(Messi); Regia: Álex de la Iglesia; sceneggiatura: Jeorge Valdano; fotografia: Kiko de la Rica; montaggio: Domingo González; interpreti: César Luis Menotti, Juan Pablo Varsky, Ezequiel Fernández Moores, Alejandro Sabella, Marcelo Sottile, Daniel Arcucci Se stesso Hugo Tocalli, Claudio Vivas, Pablo Vitti, Óscar Martínez, Cintia Arellano, Diego Vallejos, Walter Barrera, Diego Schwarzstein, Matías Pecce, Diego Rovira, Franco Casanova, Matías Gianantonio; produzione: MEDIAPRO; origine: Spagna, 2014; durata: 93’


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