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Il caso Spotlight

Pubblicato il 18 febbraio 2016 da Anton Giulio Onofri
VOTO:


Il caso Spotlight

Presentato a Venezia insieme a Black Mass, Il caso Spotlight esce ora nelle sale. All’epoca della presentazione in laguna non potemmo fare a mena di notare come due film americani al Lido, entrambi fuori concorso, entrambi di ambientazione bostoniana, entrambi con storie in cui il quotidiano locale Boston Globe ha un peso determinante, ed entrambi fotografati da Masanobu Takayanagi, fossero più di una coincidenza: quasi una congiura internazionale per affossare a piè di lista la capitale del Massachusetts nella classifica delle città con la peggiore qualità della vita… Se infatti Black Mass di Scott Cooper racconta i quasi vent’anni dell’efferata attività malavitosa di uno dei più spietati protagonisti del recente gangsterismo americano, Spotlight, diretto (e scritto insieme a Josh Singer) da Tom McCarthy rivela i retroscena che portarono i reporter investigatori del team “Spotlight” del Boston Globe – tutti premiati con il Pulitzer – a rivelare la scandalosa copertura da parte della Chiesa Cattolica di oltre 70 preti pedofili nel territorio degli Stati Uniti. Il modello, classico e consolidato, è quello del film di denuncia caro alla tradizione cinematografica di un Paese che da sempre – diversamente da quanto, per esempio, accade da noi in Italia – fonda la propria democrazia su quella libertà di stampa che portò, per citare l’esempio forse più eclatante, al Watergate e alle dimissioni del Presidente Nixon. Ma il tempo passa, e se la tenacia pura e cruda come quella di Bob Woodward e Carl Bernstein (portati sullo schermo da Robert Redford e Dustin Hoffman nel celeberrimo Tutti gli uomini del Presidente) persiste tuttora negli attuali eroici Don Chisciotte della stampa USA, con l’ingresso nel nuovo secolo il cinema e la fiction in generale hanno dovuto via via tener conto del progressivo decremento, nel cuore del pubblico, di una coscienza politica forte e consapevole: dopo il “riflusso” degli anni ’80 (ricordate l’edonismo reaganiano di Roberto D’Agostino?) e la caduta dei regimi comunisti dell’est dell’Europa, e specialmente in seguito ai tragici fatti dell’11/9, la percezione degli eventi storici e politici che stanno connotando questi primi decenni del XXI secolo è diventata più distratta, istintiva, di pancia; di conseguenza anche il cinema ha dovuto annacquare certe tonalità un tempo o bianche o nere, e spingere il pedale dell’emozione, magari anche facile. Ed è proprio questo il principale difetto di Spotlight, che nonostante un cast di assoluti fuoriclasse, dove primeggiano Michael Keaton, Mark Ruffalo e Stanley Tucci, procede con quel passo televisivo ormai troppo frequente sul grande schermo, che non riesce a sostenere il peso e la responsabilità degli eventi che illustra. E sinceramente infastidiscono certi primi piani del pur ottimo Ruffalo pregni di troppo enfatica pietà verso le vittime degli “orchi”, dimostrazione che difficilmente riusciremo a vedere su un argomento indubbiamente delicatissimo film che lo affrontino in maniera adeguata e oggettiva.


CAST & CREDITS

(Spotlight); Regia: Tom McCarthy; sceneggiatura: Tom McCarthy, Josh Singer; fotografia: Masanobu Takayanagi; montaggio: Tom McArdle; musica: Howard Shore; interpreti: Michael Keaton, Mark Ruffalo, Rachel McAdams, Liev Schreiber, Stanley Tucci, Billy Crudup; produzione: Anonymous Content, Participant Media, Rocklin / Faust; distribuzione: BIM; origine: USA, 2015; durata: 128’


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