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Venezia 76 - Gloria Mundi

Pubblicato il 7 settembre 2019 da Fabiana Sargentini

VOTO:

Venezia 76 - Gloria Mundi

Dalle ginocchia divaricate di una donna appare una testa biancastra: sta nascendo un bambino. Una messa da requiem di Toscanini unita a un battito cardiaco trascina le immagini in un tripudio di vita originaria, esemplare, primitiva. Così apre Gloria mundi, che nel cartello dei titoli di testa viene preceduto dall’inizio della celebre locuzione latina, in carattere più piccolo, sic transit gloria mundi - così passa la gloria del mondo - denunciando la natura impermanente della natura umana (nei titoli di coda è scritto che la prima scena è un omaggio a Artavazd Pelesjan, documentarista armeno).
Non sempre la nascita di un figlio porta buona fortuna, gioia, grandi trionfi, anzi. È possibile che, in una famiglia disagiata con seri problemi economici, è soprattutto una bocca in più da sfamare, se non una disgrazia vera e propria. Poco dopo la nascita della bambina, torna in giro - in libertà - il nonno biologico, Daniel (Gérard Meylan), dopo vent’anni in prigione, a confondere ulteriormente gli equilibri della famiglia allargata, con un secondo marito, due sorellastre, incastri non sempre felici.
Marsiglia, luogo di multiculturalità, un porto a cui si arriva e da cui si parte, pochi ricchi, moltissimi poveri, un po’ di borghesia. Un negozio di rivendita di oggetti usati, Tout cash, gestito da Bruno, cocainomane sposato a una sorella lussuriosa ed egoista, l’altra fedifraga, discorsi sui perdenti e sui vincenti, la stretta sociale che preme su chi ha meno. Le disgrazie non vengono mai sole, dalla prima all’ultima si dipanano come una matassa piena di nodi che non si riescono a districare, la sciagura di avere fatto una prima cattiva azione che ne consegue altre e altre e altre. L’ineluttabilità del destino, l’incapacità e l’impossibilità di scavallare le classi sociali, la difficoltà concreta di arrivare a fine mese, le preoccupazioni costanti per qualcuno di caro che tende a mettersi nei guai. La vita è fatta a scale, c’è chi scende c’è chi sale, il detto italiano si applica appieno al film francese del maestro Guédiguian che descrive da sempre la genia degli ultimi, di chi sopravvive, di chi ha fame e sete e bisogno. Se si nasce una volta sola si muore mille volte, in piccole parti, feriti dal caso e dalla sfortuna. A nulla vale il tentativo di rimanere a galla, di superare le avversità, di essere amici delle persone giuste, quelle che contano: non è una sorella, non è un amante sposato con la sorella, non è un ortopedico agiato, non è vendersi a pagamento, nulla è possibile di fronte alla disuguaglianza di diritti, alle politiche capitalistiche, alle disparità sociali. Sono ferite che non si rimarginano, da cui non esce che sangue marcio, non è l’educazione, non è lo studio, non c’è emancipazione se non adorando il dio denaro, eccitandosi davanti ai fallimenti altrui, girando filmati sexy con cui fare guadagni meschini su YouTube. La famiglia non protegge più, ci si uccide dentro le mura di casa, nemmeno un haiku composto in cella allevia dalla catastrofe ineluttabile.
Nonostante qualche forzatura di sceneggiatura il film aggiunge un ennesimo tassello tragico sulla miseria del mondo alla lunga filmografia di Guédiguian.


CAST & CREDITS

(Gloria mundi); Regia: Robert Guédiguian; sceneggiatura: Robert Guédiguian, Serge Valletti; fotografia: Pierre Milon; montaggio: Bernard Sasia; musica: Michel Petrossian; interpreti: Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan, Anaïs Demoustier, Robinson Stévenin, Lola Naymark; produzione: Ex Nihilo (Marc Bordure, Robert Guédiguian), AGAT Films (Marc Bordure, Robert Guédiguian), France 3 Cinéma, Bibi Film TV (Angelo Barbagallo); origine: Francia, Italia, 2019; durata: 107’


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