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Venezia 76 - Effetto domino

Pubblicato il 3 settembre 2019 da Alessandro Izzi

VOTO:

Venezia 76 - Effetto domino

Il boom del mattone di qualche tempo fa ha lasciato, sparsi nel paesaggio, immensi ecomostri che sfidano il cielo sfaldandosi un po’ per volta in polveri dannose.
Sono ferite che deturpano il volto rugoso e forte della terra. Incisioni nella memoria collettiva che si impongono come un monito sull’inutilità dello sforzo titanico all’altezza del cemento che si proietta grigio verso un cielo fatto nuvoloso.
Intorno ai giganti che si sbriciolano nell’inquieta indifferenza, c’è però il lavoro di famiglie. Ci sono i muratori, come i trasportatori; i fornitori come gli imbianchini. Lo sforzo dell’economia di produrre alberghi che nessuno ha mai occupato, perché inutili sin dal progetto stesso che li ha fatti nascere, ha significato, almeno per un po’, stipendi, tredicesime, assegni, acquisti, crescita.
Rampazzo è tra questi. Ha vanga e piccone tatuati sul braccio dove prima avrebbero potuto stare falce e martello. Ha lavorato i mattoni tutta una vita. Ha costruito case e cose. Poi la crisi lo ha messo a lato e si è dovuto accontentare di sopravvivere nell’anonimato della disoccupazione.

Rampazzo, che in pantofole non ci sa stare, a un certo punto ha un’idea che forse gli è dettata proprio dal paesaggio, fatto di costruzioni vuote e inutilizzate, uno scenario urbano che è vecchio anche se non è mai stato nuovo.
Quest’idea è quella di acquisire quanto più si può di terra e scheletri di palazzi per costruire un quartiere che pure è vecchio, ma dentro, per chi lo vivrà, o meglio: per chi ci andrà a morire, fingendo magari di essere nuovo ancora per un po’.
Un quartiere per pensionati, insomma. Ma ricchi. Di quelli che hanno lavorato una vita e che spenderebbero volentieri ogni risparmio per comprarsi una casa di riposo che fa finta di non essere un parcheggio in attesa della triste mietitrice.

New Old, lo chiamano nei progetti, questo quartiere ancora a venire, che se ne sta acquattato nelle idee. Invenzione visionaria che nasce dalla considerazione che, nel 2050, per la prima volta nella storia dell’umanità (e forse nella storia naturale tutta) più della metà della popolazione mondiale sarà composta da over sessantacinquenni e che proprio a loro dovrà rivolgersi l’economia in cerca di nuovi polli da spennare.

Così Rampazzo, senza neanche rendersene conto, proprio lui che ha lavorato tutta una vita con il sudore della fronte e un’idea di dignità nelle mani callose, comincia a ragionare come un mastino della nuova finanza.
Non si accorge che la sua idea, in fondo, è come quella di mettere i polli in batteria aspettando che sfornino le uova. Non si accorge della mercificazione dell’individuo. Ed entra da protagonista nell’agone degli squali senza accorgersi che è appena poco più di un pesce rosso, attirandosi dapprima il ben volere delle banche che gli concedono prestiti e poi quello degli uscieri comunali che già annusano mazzette.
In fondo, l’idea dell’allevamento di vecchietti che credono di essere felici come in Matrix piace un po’ a tutti. A troppi, anzi. E, infatti, (e qui casca l’asino) attira anche le attenzioni di investitori esterni, dal cattivissimo oriente, che non ci mettono molto, anzi appena due bocconi, a mangiargli l’idea, riducendolo sul lastrico.
Non prima però di avere avviato un effetto domino che, dopo aver smosso per un po’ il sogno di molti, si lascia dietro lavoratori non pagati, ditte fallite, fornitori alla fame.
Del resto, l’economia di oggi è questo: smuovere denari virtuali e lasciar morire tutto ciò che non sta al gioco.

Effetto domino nasce da un romanzo, ma diventa film con uno sguardo al mondo del documentario.
Racconta il mondo di oggi, dell’alta finanza come del piccolo lavoratore, con lo sguardo entomologico dello scienziato. E tiene una distanza fredda, fenomenica, di chi guarda dall’alto, senza cercare altra immedesimazione nei drammi raccontati se non quella che deriva dal vedere il leone che divora la gazzella.
Si tratta di un film forte, capace di stare nell’ambiente, di vivere lo spazio come parte integrante del racconto e il paesaggio urbano come elemento che influenza e, anzi, spesso definisce le psicologie di chi, in quel paesaggio ci vive.
Il risultato è rigoroso, ma non sempre ugualmente convincente anche perché in questa lenta calata all’inferno, l’umiliazione subita da chi il potere non ce l’ha, ma si dibatte per non essere mangiato, si ferma sempre un passo prima dello scandalo che scuote. Ed è un peccato perché un film come questo, anomalo, forte, importante, avrebbe forse guadagnato da qualche pugno in più nello stomaco molle di un pubblico lobotomizzato troppo da un eccesso di TV.


CAST & CREDITS

(Effetto domino); Regia: Alessandro Rossetto; soggetto e sceneggiatura: Caterina Serra, Alessandro Rossetto; liberamente ispirato al romanzo Effetto Domino di Romolo Bugaro Edito da Marsilio Editori; fotografia: Daniel Mazza; montaggio: Jacopo Quadri; musica: Alessandro Cellai e Paolo Segat, Valerio Vigliar, Maria Roveran; interpreti: Diego Ribon, Mirko Artuso, Maria Roveran, Nicoletta Maragno, Roberta Da Soller, Olivier Rabourdin, Lucia Mascino, Marco Paolini; produzione: JOLEFILM con RAI CINEMA; origine: Italia, 2019; durata: 104’


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