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Venezia 76 - Martin Eden

Pubblicato il 2 settembre 2019 da Anton Giulio Onofri

VOTO:

Venezia 76 - Martin Eden

Eleggere Napoli a ‘luogo’ dove rappresentare la parabola del XX secolo, tornare tra la gente e le bufale del suo film precedente, Bella e perduta e ritrovare la luce sfumata di quelle placide albe e di quegli struggenti tramonti: sono certamente questi alcuni tra i motivi che hanno suggerito a Pietro Marcello di ambientarvi l’adattamento cinematografico del romanzo di Jack London Martin Eden, pubblicato in America nei primissimi anni del secolo scorso. Perché Napoli? Perché se hai in mente un progetto che prescinda da ogni esattezza geografica e temporale nel raccontare il romanzo di un uomo povero e ignorante che aspira a ‘gentrificarsi’ (come si direbbe oggi) attraverso la cultura – ‘perché se il sugo è la povertà e il pane la cultura, basta fare la scarpetta e la povertà scompare...’ – non c’è altro luogo al mondo dove il tempo si sia egualmente arrestato in una bolla che continua ad inglobare ogni modernità senza tuttavia sostituirla alla storia e alle scorie del passato, in un armonico caos che tutto livella, macina e rimugina. Come in un sogno irreale, si aggirano per le banchine portuali, per i mercati, per i vicoli dei Quartieri Spagnoli, campioni di varia umanità vissuti in ogni epoca del ‘900, che si intrecciano secondo i codici del campo e del controcampo con gli sguardi e le azioni dei personaggi di un film girato in pellicola appositamente perché i nuovi materiali possano mescolarsi e ‘cantare’ con i volti di chi non c’è più (ricorderete, nei titoli di coda del primo lungometraggio del regista casertano, La Bocca del Lupo, una delle più belle dediche finali del cinema italiano: ‘A tutti coloro che hanno filmato Genova nel ‘900’...) forniti dagli immensi archivi storici delle cineteche italiane: Napoli diviene quindi una sorta di metafora del mondo intero, di libro di storia, di teatro dove sulla scena si verificano i conflitti di classe ed esplodono i contrasti ideologici dei movimenti del pensiero nuovo che adombrato nel romanzo di London svilupperà per tutta la prima parte del XX secolo il grande dibattito della sinistra, divisa tra socialismo e individualismo, in comune contrasto con gli strati superiori della società. Ma se l’aspetto politico del film ne occupa una fetta sostanziosa, non si creda che Martin Eden sia soltanto l’austero racconto delle innumerevoli lotte di classe già copiosamente illustrate dal cinema italiano in anni senz’altro più ideologizzati di questi nostri: al contrario, nell’ondivaga culla che ospita il sogno letterario del regista, dove con i personaggi che conservano i nomi originali del romanzo, le epoche e i materiali filmati si confondo in una fluttuazione onirica di ineffabile qualità poetica ed espressiva (con la complicità di una colonna sonora che alterna Respighi e Sgambati a Teresa De Sio e ad altre sonorità beat, pop ed elettroniche) ad emergere su tutto il resto è la storia d’amore del protagonista, un Luca Marinelli di stentorea presenza fisica e bellezza interiore, con il Sapere, l’Istruzione, i Libri, la Conoscenza, strumenti grazie ai quali può coltivare ed accudire il sentimento per la bella Elena, rampolla di una famiglia altoborghese che lo accoglie con riserva nel proprio salotto per via delle sue modeste origini. Ma è anche la storia della trasformazione fisica che disegna e modella sui corpi e sui volti di Martin, del suo amico Russ Brissenden (un Carlo Cecchi che è già di suo un prezioso baule di modalità espressive di tempi scomparsi per sempre), dei suoi compagni di fatica e dei suoi amori fragili ed effimeri, la vita nel suo incedere carico di novità e di cambiamenti. Il successo incontrato dalle aspirazioni letterarie di Martin gli regalerà, sì, una ribalta e una visibilità che però andranno a ulteriormente ingarbugliare i tormenti della sua vita pubblica e privata, deflagrando in un finale che accentua lo scardinamento temporale della scelta narrativa di Pietro Marcello in cui troviamo, sulle rive di una spiaggia al tramonto affacciata sul Golfo, immigrati africani appena sbarcati e gerarchi fascisti in fregola di menar le mani, mentre un pitocco dal volto segnato e antico che pare uscito da un film di Pasolini annuncia a gran voce: ‘È scoppiata la guerra!’. Turbati dagli eventi conclusivi (che non vanno rivelati, almeno a chi non abbia letto il romanzo di London), verrebbe da chiedergli: ‘Sì, ma quale?’

Seria ipoteca sul massimo premio della 76. Mostra del Cinema di Venezia, dove è stato presentato in concorso, Martin Eden è forse, a tutt’oggi, l’opera più compiuta e matura di Pietro Marcello, illuminata da un cinema d’autore di disarmante semplicità e immediata schiettezza, capace di non soffrire alcun complesso verso la matrice letteraria che ne è all’origine, restituendone appieno il senso senza smarrire nemmeno per un istante la qualità di un linguaggio che affonda nella forza insostituibile delle immagini in movimento la radice che lo sostiene e lo irrora di una linfa di tremenda potenza espressiva.


CAST & CREDITS

(Martin Eden); Regia: Pietro Marcello; sceneggiatura: Maurizio Braucci, Pietro Marcello; fotografia: Alessandro Abate, Francesco Di Giacomo; montaggio: Aline Hervé, Fabrizio Federico; musica: Marco Messina e Sacha Ricci, Paolo Marzocchi; interpreti: Luca Marinelli, Jessica Cressy, Denise Sardisco, Vincenzo Nemolato, Carmen Pommella, Carlo Cecchi; produzione: Avventurosa, Ibc Movie, Rai Cinema; distribuzione: 01 Distribution; origine: Italia, Francia, 2019; durata: 129’


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