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Venezia 76 - Tony Driver

Pubblicato il 3 settembre 2019 da Alessandro Izzi

VOTO:

Venezia 76 - Tony Driver

Pasquale Donatone è figlio di migranti.
All’età di nove anni segue, infatti, i genitori che, da Bari, si trasferiscono negli USA, in cerca di una vita migliore.
Si sente, per questo, americano a tutti gli effetti. Ha lì tutta la sua vita, cominciata con le scuole e l’apprendimento di una lingua che ora sente più sua dell’italiano della prima infanzia.
Lì si è sposato, giovanissimo, e ha avuto figli, ormai grandicelli.
Lì ha divorziato, rimanendo però in ottimi rapporti con la ex moglie che ha persino conservato il suo cognome.
Lì lavorava, come tassista.
Da lì è stato deportato, per dieci anni, per via della sua "seconda" occupazione: il trasporto di migranti illegali dal confine messicano (e, aggiunge spesso, anche di droga.
La sua condizione esistenziale è quindi quella dello sradicamento. Impossibilitato a tornare a casa dai suoi affetti (qualora rientrasse illegalmente, rischierebbe la deportazione a vita), non riesce a sentirsi di casa nemmeno nella natia Puglia, dove vive, solo, in una grotta a Polignano a mare, incapace a riconoscersi in una società che non è mai stata veramente la sua perché abbandonata quando era troppo piccolo per sentire un senso di radici.
Sogna, quindi, di tornare in America, magari seguendo le strade che meglio conosce: quelle che passano per i confini con il Messico. Un sogno che deve scendere a patti con i rischi che non sono solo quelli di essere beccato sul territorio nazionale, prima di essere riuscito a risposarsi con la ex moglie che non è che lo ami ancora, ma non si tirerebbe indietro di fronte alla possibilità di garantirgli una green card.
C’è da tenere conto, infatti, della nuova abitudine americana di costruire muri sempre più alti e rugginosi. Come sono da temere tutti quelli che approfittano delle tratte di passaggio per rapinare i messicani che non hanno poi polizia a cui rivolgersi.

Un personaggio border line, a pensarci su, questo Pasquale Donatone che da tutti preferisce farsi chiamare Tony. A metà tra un personaggio herzogghiano, con cui condivide la dimensione apolide incline a uno strano titanismo buffamente solitario e un personaggio alla Wenders, non fosse altro per l’amore per il sogno americano e la sua condizione incline al viaggio sin nella professione di tassista.
Diviso tra due mondi, Pasquale diventa per questo eroe di un documentario anch’esso scisso tra possibili modelli. Una scissione dichiarata sin dalle prime inquadrature dove un classico montaggio di campi e controcampi ricostruisce il momento dell’arresto di Tony. Solo che i campi in cui Pasquale, seduto su una roccia, finge di guidare il suo taxi stringendo tra le mani un volante sono girati altrove, mentre i controcampi sono ripresi in America con finte comparse.
La scissione dei piani determina così i confini di una continua oscillazione tra reale e finzionale, tra documentario e film secondo un modello non nuovo, in fondo, ma qui rivitalizzato dal bisogno di aderire anche stilisticamente alla condizione esistenziale e politica del personaggio raccontato.

Sta probabilmente qui l’aspetto più interessante di un lungometraggio che gioca con il suo personaggio, in una complicità continua tra sguardo narrante e oggetto narrato; un gioco che si ribalta anche sulle comparse pronte a “fingere di essere” non dando segno di notare le telecamere che li riprendono.
Ma sta qui, in fondo, anche il limite dell’operazione che ci pare un poco monca proprio per la sua volontà (forse) di non andare oltre la visione del proprio personaggio. Ci si consegna in questo modo un ritratto a tutto tondo di un vinto dalla Storia, mentre il contesto ci appare leggermente più sfocato.


CAST & CREDITS

(Tony Driver); Regia: Ascanio Petrini; sceneggiatura: Ascanio Petrini; fotografia: Mario Bucci; montaggio: Benedetta Marchiori; musica: Francesco Cerasi; interpreti: Pasquale Donatone; produzione: Marco Alessi, Giulia Achilli – Dugong Films; origine: Italia, Messico, 2019; durata: 70’


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