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La bicicletta verde

Pubblicato il 30 agosto 2012 da Annalaura Imperiali


La bicicletta verde

Il coraggio di una donna che si cimenta nella regia, laddove l’avversione per il sesso femminile è connaturata alla vita delle persone, è sicuramente una virtù da ammirare.

Haifaa Al Mansour è la prima filmmaker proveniente dall’Arabia Saudita, nonché una delle più apprezzate ad oggi nel Regno Unito.

La storia che questa regista porta con sé alla 69° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia racconta un tassello di vita della piccola Wadjda, ragazzina di dieci anni che vive in un sobborgo di Riyadh, la capitale dell’Arabia Saudita. Pur essendo nata in un mondo estremamente conservatore, Wadjda ama divertirsi, è intraprendente e si spinge sempre un po’ più in là del dovuto nel cercare di farla franca. Dopo un litigio con il suo amico e coetaneo Abdullah, un ragazzino del vicinato con cui, sempre in base alle regole a cui deve sottostare il genere femminile, non potrebbe giocare, la bambina vede una bella bicicletta verde in vendita. Incarnando il desiderio d’evasione di Wadjda e la sua aspirazione volta al sentirsi uguale ad un maschio della sua stessa età, questa bicicletta diventa il motore di ricerca dell’intero film. Lo attraversano anche temi quali il rapporto filiale sia rispetto alla figura materna che a quella paterna, la gelosia tra moglie e marito e l’indiscussa sacralità del Corano all’interno della religione mussulmana. Il tutto giocato sul labile confine tra ciò che è permesso e ciò che è proibito in un regime politico e umano caratterizzato dall’assoluta mancanza di libertà.

Privo di mezzi termini, ricco di inquadrature fisse e forte del proprio realismo evidente, Wadjda gioca un ruolo significativo nell’ambito degli spaccati sul mondo orientale che continuano ad evidenziare background culturali che, pur sembrando notevolmente lontani dal nostro beneamato occidente, esistono e si avvicinano sempre di più in rapporto direttamente proporzionale al tempo che passa.

Le interpretazioni spontanee e pulite dei due bambini protagonisti determinano, come anche in molti altri film in cui l’infanzia gode di una posizione privilegiata davanti agli occhi del pubblico, un necessario avvicinamento alla storia da parte di chi la guarda dall’esterno.

I linguaggi sono talmente diretti e privi di sovrastrutture da non poter dare adito a doppie interpretazioni.

Una nota particolare va sicuramente alla scelta dei costumi; tradizionali all’esterno, più liberi e occidentali all’interno delle case private, essi giocano un ruolo centrale in Wadjda dal momento che si fanno specchio in parte delle volontà di trasgressione femminili e in parte degli schermi psicologico-sociali dietro a cui si celano le verità più profonde.

Un bel film, tanto intenso nel suo svolgimento quanto leggero nei suoi ingenui punti di comicità.


CAST & CREDITS

(Wadjda); Regia: Haifaa Al Mansour; soggetto e sceneggiatura: Haifaa Al Mansour; fotografia: Lutz Reitemeier; montaggio: Andreas Wodraschke; scenografia: Thomas Molt; musica: Sebastian Schmidt; costumi: Peter Pohl; interpreti: Reem Abdullah (Madre di Wadjda), Waad Mohammed (Wadjda), Abdullrahman Al Gohani (Abdullah), Ahd (Hussa), Sultan Al Assaf (Padre di Wadjda); produzione: Razor Film
Roman Paul, Gerhard Meixner in collaborazione con High Look Group
Amr Alkahtani
Rotana Studios Norddeutscher Rundfunk Bayerischer Rundfunk; distribuzione internazionale: The Match Factory; origine: Arabia Saudita - Germania, 2012; durata: 97’; web info: sito di riferimento: http://mediabiennale.webforma.it/do...


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