X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Wanted - Scegli il tuo destino

Pubblicato il 5 luglio 2008 da Alessandro Izzi
VOTO:


Wanted - Scegli il tuo destino

“Non so chi sono”: Wanted sta, in fondo tutto qui, tutto in queste quattro parole che condensano, nella loro voluta superficialmente filosofica, il senso di spaesamento, di incertezza, di incapacità a definirsi della realtà culturale americana e, per estensione, di tutto il mondo occidentale che su quella realtà va sempre più modellando le proprie forme.
A voler lavorare di estrema sintesi sul nucleo narrativo della pellicola ci si accorge ben presto, infatti, che tutta la storia poggia sui pilastri portanti di due archetipi che, pur nelle reciproche differenze, sono, però, diretta conseguenza l’uno dell’altro: la ricerca del proprio sé, della propria posizione nel mondo, e la riscoperta delle proprie radici, la ridefinizione di un rapporto costruttivo con le proprie figure genitoriali, in maniera particolare col proprio padre che è, a differenza della madre, anche un garante della dimensione sociale dell’individuo (gli dà, di fatto, il cognome e, quindi, la patente di riconoscibilità presso gli altri).
Due temi, questi, a pensarci bene, ricorrenti non solo, com’è del resto ovvio, in tutte quelle storie di eroismo e supereroismo (e tale è anche Wanted), ma centrali in tutto il cinema americano post 11 settembre. È quasi come se la tragedia epocale del crollo delle Torri Gemelle col conseguente stato di allerta permanente nel quale hanno, di lì in poi, vissuto tutti i cittadini statunitensi, abbia costretto la realtà americana a guardarsi allo specchio e a prendere atto, dolorosamente, delle proprie contraddizioni.
Il fatto è che questo spaesamento, che di per sé potrebbe essere un più che valido punto di partenza per un processo autoconoscitivo di grande importanza, urta ancora fatalmente con la dimensione estremamente pragmatica della realtà americana. In altre parole alla domanda “chi sono?” che si affaccia sempre più nelle coscienze dei protagonisti delle nuove storie made in USA, la risposta immediata e necessaria sembra poter essere solo un lapidario: “io sono quel che faccio”. La categoria dell’essere si confonde, così, paradossalmente con quella dell’agire come se solo l’azione fosse l’unica realtà in grado davvero di definire l’altro e noi stessi.
“Dimmi quel che fai e ti dirò chi sei” sembra essere il motto del nuovo americano medio quasi che il lavoro di contabile (tanto per restare nel contesto del film oggetto di analisi) sia non un mestiere, ma una vera e propria categoria esistenziale nella quale riconoscersi o non riconoscersi.
Questo pragmatismo di pensiero, fortissimo nel soggetto e poi nella sceneggiatura, viene sposato in maniera quasi assoluta da Timur Bekmambetov, un regista russo (quello della trilogia dei guardiani) che sembra trovarsi perfettamente a suo agio col mainstream hollywoodiano, ma a cui qualcosa di Tarkovski deve essere rimasto negli occhi, ma non nel cuore.
Il regista utilizza il suo estro visionario (assolutamente innegabile, spesso sublime) per illustrare da par suo una storia che, pur flirtando con tematiche di tutto rilievo (non ultimo il tema del libero arbitrio) mantiene pervicacemente una propria vocazione da puro e semplice enterteinment. In questo modo i grandi sistemi filosofici impliciti in un film che narra di omicidi preventivi le cui vittime sono persone che, in futuro, si macchieranno di chissà quali crimini, restano attaccati al racconto, ma non diventano mai, per precisa volontà autoriale, oggetto di riflessione o di pensiero. Il gioco funziona bene nella prima parte della pellicola quando, alla presentazione dei vari personaggi corrisponde un’ironia acidula che spalma ogni preoccupazione sulla superficie bidimensionale del fumetto. Ma il film comincia a perdere colpi quando la dimensione ludica si scioglie nelle sequenze di pura action, quando cioè la componente americana trionfa definitivamente sull’anima vecchio continente dell’autore.
Peccato, perché in questo modo finisce per non aver nessun mordente l’idea, punto d’arrivo del finale della pellicola, che una società dedita all’omicidio preventivo sia destinata, per sua stessa natura, all’autoannientamento e al suicidio. L’intuizione, che ha tutto il sapore arcaico della tragedia greca, resta in Wanted puro artificio per pervenire allo scioglimento dell’intreccio, non si presta a nessun possibile affondo polemico radicato nella contemporaneità e nelle contraddizioni dell’attuale politica estera statunitense.
In questo modo del film restano soprattutto, una ridda vorticosa e divertente di effetti speciali e un’Angelina Jolie esemplare nella sua capacità quasi leonardesca di trasformare il proprio corpo in pura immagine, in icona esemplare dei nostri tempi.


CAST & CREDITS

(Wanted); Regia: Timur Bekmambetov; sceneggiatura: Michael Brandt, Derek Haas, Chris Morgan; fotografia: Mitchell Amundsen; montaggio: Dallas Puett, David Brenner; musica: Danny Elfman; interpreti: James McAvoy (Wesley), Morgan Freeman (Sloan), Angelina Jolie (Fox), Terence Stamp (Pekwar), Thomas Kretschmann (Cross), Kristen Hager (Cathy); produzione: Kickstart Productions, Marc Platt Productions, Spyglass Entertainment, Stillking Films, Top Cow Productions, Universal Pictures; distribuzione: Universal Pictures International Italy; origine: USA, 2008; durata: 110’


Enregistrer au format PDF