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Yema

Pubblicato il 6 settembre 2012 da Annalaura Imperiali


Yema

Il Commento della regista, a proposito del suo stesso film Yema, è esemplificativo per una comprensione più approfondita dei contenuti in esso presenti.

<< Yema è una tragedia greca ambientata nell’Algeria in guerra con se stessa. È la storia di una donna che vuol vivere malgrado gli altri, che deve vivere malgrado se stessa. Lacerata dal dolore ed ebbra di odio. Ouardia – il nome della protagonista, appunto - è come se fosse morta due volte. Come continuare a vivere nonostante la violenza del mondo, la violenza del destino? Cosa fare quando i figli si uccidono, per amore, ovviamente? Tarik e Alì amano la stessa donna, la stessa madre, la stessa nazione. E quell’amore scatena disgrazie a non finire. Allo stesso modo di Eteocle e Polinice che si uccisero per amore di Tebe. Ouardia parla poco, quasi per niente. Agisce. Contro il corso del tempo, per sopravvivere. E contro la natura, anch’essa un vero e proprio personaggio del film. Inizialmente è una natura arida, secca, sterile; poi però cerca di rinascere, come una fenice: dalle sue stesse ceneri esauste che, nonostante tutto, mantengono sempre al proprio interno i bulbi vitali da cui riprendono vita. Più esattamente, è Ouardia che fa rinascere la natura lavorando la terra fino ad essere priva di forze. E l’unica forza la ritrova in un neonato, figlio dei suoi figli e quindi carne della sua carne, che si rivelerà l’unico fragile legame di Ouardia con il futuro e con la speranza che esso comporta. >>

Tutto questo dramma interiore ed esteriore avviene in una location estremamente folcloristica: una casupola abbandonata nella campagna algerina. Ouardia ha sepolto qui il figlio Tarik, un soldato forse ucciso dal fratello Alì, il quale è a capo di un gruppo islamista. La casupola è sorvegliata da uno degli uomini di Alì che ha perso un braccio in un’esplosione. In questo universo teso, carico di dolore e indebolito dalla siccità, la vita si impone nuovamente, un po’ alla volta. Grazie al giardino che Ouardia fa rinascere a forza di coraggio, duro lavoro e testardaggine; e poi ancora grazie al sorvegliante, anch’egli una vittima, alla fine adottato da Ouardia e trattato come fosse anch’egli un figlio; ma soprattutto grazie all’arrivo inizialmente inatteso del figlio di Malia, una donna amata dai due fratelli e morta di parto. Eppure Ouardia non è giunta ancora al termine delle proprie sofferenze. Alì, il figlio “maledetto”, ritorna gravemente ferito riaprendo lacerazioni purulente nel corpo e nell’anima…

Con Yema, ci si perde visivamente nell’assenza dei dialoghi – pochissimi nel corso di tutto il film, effettivamente solo dialoghi essenziali nei punti in cui occorre spiegare per contribuire alla diegesi cinematografica – e nei colori aspri e sgargianti dei costumi della protagonista che spicca con vigore sugli sfondi chiari, tenui e monotoni delle aride colline magrebine. Gli occhi di Ouardia, riflessi allo specchio in una delle tante inquadrature statiche su cavalletto, esprimono tutta la profondità della sofferenza rinchiusa nel ventre e nello stomaco. E sono proprio questi stessi occhi ad ipnotizzare tenendo alta la concentrazione sul volto di Djamila Sahraoui che, ricco di rughe profonde e segnate, raccoglie in sé tutta la bravura di questa donna, dal grande coraggio e dalla stimabile bravura sia registici che recitativi, agli albori della propria esperienza in campo cinematografico.


CAST & CREDITS

(Yema) Regia: Djamila Sahraoui; soggetto e sceneggiatura: Djamila Sahraoui; fotografia: Mourad Zidi; montaggio: Catherine Gouze; interpreti: Djamila Sahraoui (La Madre), Samir Yahia (La Guardia), Ali Zarif (Il Figlio); produzione: Les Films de l’Olivier, Neon Productions in collaborazione con: AARC, ONDA; origine: Algeria – Francia, 2012; durata: 90’; web info: http://www.labiennale.org/it/cinema...


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