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50a ESPOSIZIONE D’ARTE INTERNAZIONALE DI VENEZIA - GIORNO 2

Pubblicato il 13 giugno 2003 da Alessandro Borri


50a ESPOSIZIONE D'ARTE INTERNAZIONALE DI VENEZIA - GIORNO 2

Secondo giorno di inaugurazioni alla 50ma Esposizione d’Arte Internazionale di Venezia. Alla conferenza stampa di stamane, il direttore della Biennale Francesco Bonami ha provato a fare un primo bilancio sull’andamento dei lavori e sull’impatto mediatico che l’esposizione ha registrato: seimila gli accreditati tra giornalisti e critici d’arte, con un’affluenza dai caratteri titanici anche da parte del pubblico pagante che, in via del tutto straordinaria, ha potuto acquistare un numero limitato di biglietti messi a disposizione per poter seguire con gli addetti ai lavori le vernici. Un esperimento che ha avuto un certo successo, ma che inevitabilmente ha finito col creare dei disagi all’ingresso dei padiglioni. In fondo il motto dell’ edizione di quest’anno la dice abbastanza lunga: Sogni e Conflitti. La dittatura dello Spettatore. Tra i padiglioni più interessanti di quest’oggi, metteremmmo al primo posto il padiglione americano. L’America si fa rappresentare da Fred Wilson (1954). Artista di madre olandese e padre dai Caraibi, Wilson ha vinto nel 1992 la 4a Esposizione Internazionale del Cairo. In America è molto famoso per il suo accostarsi alle tematiche di carattere sociale come quest’anno a Venezia, dove ripercorre attraverso la cultura veneziana la storia dei “mori” che hanno vissuto nella Serenissima. Una storia lunga e difficile, le cui tracce si possono ancora ben vedere sulle facciate di alcuni palazzi, dove molto spesso al posto dei classici atlanti regi trabeazione si vedono giganteschi mori. O ancora in opere realizzate alla fine del Cinquecento nelle grandi vetrerie di Murano. “Ovunque in Europa si vedono mori raffigurati in dipinti e in oggettistica kitsch, ma c’è una prevalenza di tali immagini proprio a Venezia. Apprezzando l’arte del Rinascimento veneziano ho cominciato a chiedermi chi fossero queste figure. Come vivevano e cosa pensavano della loro situazione? Esisteva una comunità nera a Venezia?”. (Fred Wilson) Non dobbiamo dimenticare al successo ottenuto da Shakespeare nella storia con la sua tragedia Il Moro di Venezia, portato al cinema più volte, l’ultima delle quali alcuni anni fa dall’attore e regista inglese Kenneth Branagh. Al di là dell’allestimento del padiglione statunitense, colpisce all’ingresso un gigantesco lamapadario di murano realizzato in vetro-matto totalmente nero. In più, per gentile concessione del Ministero dei Beni Culturali, sono presenti due dipinti con figure moresche di Gian Battista Tiepolo e del Vasari con il suo celebre “Ritratto di Alesandro de’ Medici”. Il primato del lavoro di Wilson resta quello di aver trattato, in tempi recenti, della città di Venezia e della storia dei suoi residenti. Come Isrele, anche l’Australia pone allo spettatore importanti quesiti di bioetica. L’artista che rappresenta l’ Oceania è Patricia Piccinini con l’ opera “We are Family” (Noi siamo una famiglia). Una serie di figure mostruose e al tempo stesso tenere realizzate in materiale plastico, apparentemnte molto affine alla pelle umana, le cui caratteristiche attraggono e reepellono lo spettatore. Queste figure si accompagnano a figure di bimbi gemelli clonati, vittime -come la pecora inglese Dolly, prima pecora clonata- di un precoce invecchiamento. Quale specie si è arrogata il diritto di condizionare l’esistenza di sè stessa e delle altre creature, con esperimenti sordidi e privi di etica? Naturalmente la specie umana, posta sotto accusa dalla Piccinini. Poco entusiasmante a nostro avviso la Francia, che insieme al Belgio e alla Corea sembra offire ben poco di originale e veramente incisivo. Unico particolare degno di nota resta l’opera dal titolo Lumiere degli artisti parigini Nathalie Obadia e Daniel Templon. Costoro hanno serigrafato su un grande schermo in vetroresina ragazzi e ragazze in strada a Parigi, di fronte alle vetrine dei bar illuminati di città, che chiaccherano tra di loro in attesa di decidere cosa fare e dove andare a trascorrere la serata. Una situazione tipica del quoitidiano, che assume però nella coscienza di ogni spettatore il senso della giovinezza e dell’ allegra ripetitività rituale del sabato sera estivo. Il nome dell’ intero progetto francese è appunto Waiting for (In attesa). Molto interessante anche il progetto del padiglione Polacco proposto dall’ artista Stanislav Drozdz (1939) con l’opera dal titolo Alea Iacta Est (Il dado è tratto), celebre espressione di Giulio Cesare alla conquista dei Germani. A ricoprire le superfici murarie interne del padiglione, una quantità indecifrabile di dati attaccati secondo le migliai (46156) di possibili sequenze numeriche. Al centro della stanza un tavolo verde da gioco e sopra sei dadi. Lo spettatore è invitato a lanciare i sei dadi e a ritrovare la medesima sequenza ottenuta alle pareti del padiglione. Chi la trova vince. Queste le regole del gioco: partecipa al gioco; lancia i dadi; allineali. Tra sogni e conflitti, lo spettatore lanciando i dadi si confronta con il più avvilente tra i conflitti: l’incognita del destino. Quale numerio uscirà? Quale sarà il destino di chi vive? Nell’epoca della globalizzazione, quale sarà la cifra del destino di ogni singolo uomo-dado?

[13 giugno 2003]


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