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À l’abordage - Berlino 2020

Pubblicato il 29 febbraio 2020 da Francesca Pistocchi

VOTO:

À l'abordage - Berlino 2020

Un po’ Eric Rohmer, un po’ Little Miss Sunshine, il nuovo film di Guillaume Brac è un road movie dai toni leggeri e divertiti, in cui le relazioni umane s’intrecciano delicatamente sotto il sole della Francia meridionale. Come ogni commedia estiva che si rispetti, le prime immagini s’aprono su tutt’altro scenario, ovvero a Parigi: è qui che i due giovani protagonisti, Felix e Alma, s’incrociano per la prima volta e, quasi per caso, si ritrovano a condividere una notte d’amore fra la Senna e le strade della città insonne. Il giorno dopo la ragazza fugge verso sud, per trascorrere le vacanze dai suoi parenti, e lo spettatore può benissimo intuire cosa succederà nei prossimi 90 minuti: Felix deciderà di sorprenderla mettendosi sui suoi passi, coinvolgendo in questa piccola avventura improvvisata l’amico Chérif e un driver goffo e maldestro il cui nome, Édouard, è già tutto un programma. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, tuttavia, il viaggio si esaurisce nel giro di qualche inquadratura: giusto il tempo che occorre per tracciare una breve panoramica sui personaggi e per scatenare un piccolo incidente da cui la storia potrà finalmente avere inizio. Vagando fra i pertugi del paesino in cui soggiorna Alma, infatti, la macchina di Édouard subisce un piccolo incidente e rimane fuori uso per una settimana. L’intreccio riprende a svolgersi come da copione: se i tre ragazzi sembrano raggiungere la loro meta piuttosto facilmente (tutto accade nel giro dei primi 15-20 minuti!), sarà poi molto più difficile ripartirne. E gli eventi prendono una piega inaspettata, lasciando entrare nella pellicola una serie di nuovi volti dai contorni bizzarri, ma mai veramente eccessivi: da un infermiere-surfista insopportabilmente bohémien al suo amico esistenzialista e vagamente puerile, da un’artista di strada mascherata a una giovane madre abbandonata dal compagno.

Quello messo in scena da Brac è un giro di vite dai toni esuberanti e malinconici, che sfiorano i protagonisti con tocco lieve lasciando all’intuizione di chi guarda il piacevole compito di immaginare gran parte dei retroscena. Ricorrenti sono gli attimi in cui Felix, dal carattere solitamente fin troppo impulsivo, si sofferma a contemplare il paesaggio, la natura, la brezza che “trasporta i ricordi”: c’è da chiedersi se la destinazione del suo viaggio sia veramente Alma (per la quale egli sembra nutrire un’immotivata ossessione) o il desiderio di ritrovare le immagini di un passato ormai lontano. Non si comprende mai del tutto per quale motivo Felix tenda a manifestare una tale invadenza nei confronti della ragazza: i due, in fondo, a malapena si conoscono. Nemmeno il comportamento di quest’ultima, improvvisamente indifferente e talvolta perfino ai limiti della scorrettezza, trova una giustificazione logica all’interno dei dialoghi.

In generale, l’intreccio si svela soltanto attraverso gli sguardi, i gesti, i silenzi: Brac scrive una sceneggiatura che sceglie di non mostrare, almeno in parte, al pubblico. Anche il finale è brusco, quasi scortese, e gli avvenimenti narrati rimangono sospesi in sala nell’incertezza di una vicenda riportata soltanto a metà. Del resto, l’idea del film nasce da una cena fra il regista e la sua troupe di giovani attori esordienti: nella realtà come nella finzione, ognuno decide come e in quale misura esporre sé stesso, ripercorrendo la propria vita e decidendo cosa dichiarare e cosa omettere. Così fanno anche Felix, Alma, Chérif, Édouard, creando un piccolo quadro di genere dai contorni volutamente indistinti e imprecisi – ma non per questo meno limpidi. C’è una sottile linea che intercorre fra libera improvvisazione e mise en scène, ed è proprio su tale linea che i protagonisti riescono a trovare un equilibrio, alternando la convenzionale spensieratezza della commedia a una quotidianità ripresa quasi casualmente.

À l’abordage utilizza gli stessi termini con cui si parla di un ricordo gradevole, strizzando talvolta l’occhio a Rohmer, ma senza riprenderne le fila: la banlieue parigina emerge soltanto in forma di chiacchiera estemporanea, il viaggio somiglia molto più a una vacanza che non ad un tentativo di fuga e, tutto sommato, l’idillio estivo non si rompe neanche per un istante. La sensazione, usciti dalla sala, è quella di aver sfogliato un diario di bordo incompleto: per qualche momento ci si può ancora divertire ad immaginare come quest’avventura così inaspettatamente ordinaria possa andare a finire.


CAST & CREDITS

(À l’abordage); Regia: Guillaume Brac; sceneggiatura: Catherine Paillé; fotografia: Alan Guichaoua; montaggio: Héloïse Pelloquet; interpreti: Éric Nantchouang (Félix), Salif Cissé (Chérif), Édouard Sulpice (Édouard), Asma Messaoudene (Alma), Ana Blagojevic (Héléna), Martin Mesner (Martin), Lucie Gallo (Lucie), Cécile Feuillet (Cécile), Nicolas Pietri (Nicolas); produzione: Thomas Hakim, Grégoire Debailly, Arte France, Issy-les-Moulineaux; origine: Francia 2020; durata: 95’


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