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Abbiamo veramente ascoltato Whiplash?

Pubblicato il 14 febbraio 2015 da Ludovico Peroni


Abbiamo veramente ascoltato Whiplash?

Whiplash si presenta come una moderna “favola sonora” nata dalla passione per la musica Jazz e suggestionata dal fascino mitico delle biografie dei grandi maestri del genere.
C’è un’ossessione: quella per l’alto-sassofonista Charlie Parker.
Il musicista si inscrive nell’immaginario collettivo come “Bird” - uno dei musicisti più tecnici agili ed espressivi di tutti i tempi - solo a seguito di una pratica e costanza feroce applicata allo strumento stimolata da una bruciante umiliazione ricevuta in pubblico.
Il principale obbiettivo della folle didattica del maestro Fletcher, coprotagonista nel film, è di infliggere lo stesso trattamento ai suoi allievi col fine ti plasmare il nuovo “Bird”.
Qui però ci occupiamo di colonna sonora e non indugeremo più di quanto già fatto sulla trama.
Pericolo scampato
In un film in cui protagonista indiscusso è il Jazz – in particolare il Bop- si corrono dei rischi evidentissimi: stereotipare la musica oppure attirarsi le antipatie degli amanti del genere.
Questi rischi sono stati evitati magistralmente.
Principali artefici di questo successo sono due compositori e musicisti: Justin Hurwitz e Tim Simonec.
I due compositori -in questo caso anche arrangiatori- si dividono la scena equamente componendo, il primo, le musiche originali che accompagnano lo spettatore del film (tra cui il "leitmotiv" Casey’s Song e No two words) e, il secondo, le composizioni suonate dalla bigband durante le competizioni. Il tutto si arricchisce di richiami a brani originali Jazz abilmente ri-arrangiati ed utilizzati per delineare quel “filo rosso” che accompagna Andrew (batterista protagonista del film) in tutte le sue fasi di studio dello strumento: da Intoit di Stan Getz a Cathy’s Song di Buddy Rich (il vero modello ed ispirazione di Andrew).
Alludere per citare
Caravan, brano originalmente composto da Juan Tizol e Duke Ellington, guida letteralmente tutta la preparazione tecnica del batterista ponendogli i più seri problemi di esecuzione e di autostima: il film, non a caso, chiude il suo intreccio narrativo con un lunghissimo solo di batteria che permette al ragazzo di stabilire la propria leadership, rispetto al duro insegnante, all’interno della bigband.
La citazione qui è netta ed inequivocabile e riesce ad evocare una correlazione netta tra il giovane protagonista e la figura del suo vero idolo, ovvero, Buddy Rich: Caravan, nella versione del 1962 è stata registrata introdotta da un lungo assolo proprio da Rich alla batteria.
Interessante notare come i compositori ed il regista siano riusciti a rendere al meglio l’effetto espressivo-narrativo proposto dalla trama senza ricadere nei soliti cliché: non troviamo nessuna traccia in riferimento al pluri-citato Charlie Parker, ma un sottile ammiccamento alla musica del periodo Bebop attraverso il brano Caravan che riesce a condensare in sé lo stile di riferimento ed il richiamo esplicito ai batteristi che hanno reso grande lo strumento in quel periodo (vd. anche i soli di Jo Jones sullo stesso brano).
E "Whiplash"?
Il titolo di questo buon film è anch’esso scaturito da un brano musicale composto da Hank Levy e reso famoso soprattutto nella versione di Don Ellis del 1973. Il brano, inizialmente in 7/4, si pone come nella produzione del compositore come un manifesto di una ricerca metrico-ritmica che ha fatto da ponte tra il jazz delle origini ed il contemporaneo, traghettandolo per quel processo di ibridazione che ha accompagnato la nascita del jazz-rock.
Un’altra scelta vincente esposta con orgoglio nel film che riesce a sintetizzare al meglio il rapido e doloroso percorso di studi che il protagonista deve affrontare e, con lui, anche molti altri musicisti che vogliono confrontarsi con l’ambigua, sterminata ed affascinante tradizione della musica Jazz.


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