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Accordi e disaccordi: Woody Allen e la musica

Pubblicato il 20 novembre 2002 da Alessandro Izzi


Accordi e disaccordi: Woody Allen e la musica

Pare che durante le riprese di Amore e guerra Woody Allen si rifugiasse, tra un ciak e l’altro, nella propria roulotte con la sola compagnia del suo fido clarinetto, per una personale pausa di riflessione, lontano da tutto e da tutti, che spesso portava all’eliminazione di intere scene che pure erano state preventivate e, spesso, si erano rivelate dispendiose (come la scena parigina in cui i personaggi della pellicola sono in cerca di Napoleone). Come Sherlock Holmes che risolveva i complessi rompicapi dei suoi assurdi casi grazie alle improvvisazioni sul suo fido violino, anche il regista newyorkese è sempre stato aiutato dalla musica per sciogliere i nodi delle sue indagini metafisiche e cinematografiche. Basta dare un’occhiata alle sue sceneggiature per rendersi conto di come esse, siano, in effetti, risolte, prima di tutto, in termini squisitamente musicali. Cosa sono, in ultima istanza, pellicole come Un’altra donna ed Alice (come a dire il ritratto di una donna e il suo ribaltamento comico) se non dei veri e propri assolo jazzistici? E cosa altro è un’opera come Hannah e le sue sorelle se non un vero e proprio concerto grosso per personaggi e orchestra (interpretazione, questa, legittimata dallo stesso inserimento in colonna sonora dei mirabili concerti di Bach)? E, infine, come non poter leggere un’opera come Manhattan se non come il congelamento di una splendida improvvisazione jazz nelle logiche di una forma che aspira, già da sola alla classicità (ed è la Rapsodia in blue di Gershwin)? Il rapporto tra Woody Allen e la musica è, in effetti, ambiguo e sfuggente e si risolve spesso in una prassi e in un metodo di lavoro a prima vista semplici (se non banali), ma sempre motivati da un profondo gusto metaparodisco (poiché la stessa parodia si denuncia sempre come tale) complesso ed inaudito. La soluzione di utilizzare le musiche di Prokofiev in Amore e Guerra (estratti da Leutenant Kije da L’amore delle tre melarance nonché da Alexander Nevskji mitica colonna musica del capolavoro ejzensteinaiano), ad esempio, sembrerebbe a tutta prima una soluzione puramente dettata dai temi e i motivi stessi del racconto che si nutrono indifferentemente di molteplici aspetti della cultura russa: dal romanzo (Turgenev, Dostoevsky e Tolstoj su tutti), alla musica o al teatro musicale (il citato Prokofiev) al cinema (Ejsenstein, ma anche Bondarcuk). In realtà, se si guarda con maggiore attenzione, la musica (come pure i riferimenti cinematografici) non sono utilizzati come meri archetipi di facile riconoscibilità (nella logica delle commedie pure e semplici), ma come veri e propri motori drammaturgici, come elementi di una messa in scena del tutto originale che si appropria di quei modelli per risolverli in un discorso diverso eppure molto simile. Se nelle parodie di genere, infatti, i riferimenti ad altre opere del passato sono messi in scena per essere svuotati del loro valore semantico e per essere ridotti a meri giochi linguistici (si pensi, anche, alle ultime fatiche di Mel Brooks), in questo film, essi sono, certo, irrisi e fatti oggetto di un umorismo dissacrante, ma non privati del loro valore filosofico ed esistenziale che viene, anzi, restituito con amore profondo. Gli stessi riferimenti musicali servono a rendere percepibile (a livello sonoro) un surplus di senso a delle immagini già abbondantemente intrise di valori extracomunicativi (si pensi al leone tratto dalla Corazzata Potemikin, ma qui obbligato a significare una semplice metafora di “potenza sessuale”). Facile appare anche l’inserimento di brani di Mendelssohn all’interno di un film come Una commedia sexy di mezza estate dal momento che il compositore tedesco è quello che ha regalato le musiche più memorabili alla commedia shakespeariana. Meno semplice e scontato ci appare questo inserimento quando lo poniamo a contatto con quel complessissimo meccanismo che è la sceneggiatura alleniana che la musica va ad accompagnare: un vero e proprio concertato finale da commedia musicale ottocentesca. Non bisogna aspettare Accordi e disaccordi per rendersi conto di quanto la sceneggiatura alleniana segua a livello consapevole una logica puramente musicale perché tutto il suo cinema è fondato sulla contrapposizione musicale di termini filosofici e di personaggi che ne sono la diretta esemplificazione: sesso e morte, mente e corpo ecc. I personaggi alleniani si incontrano e si alternano sulla scena come delle note musicali a formare ora degli accordi consonanti, ora delle dissonanze in un disegno musicale estremamente variato e complessamente elaborato. In alcuni personaggi (come il Judah di Crimini e misfatti) le dicotomie si fanno interne in una contrapposizione di elementi che ne complica mirabilmente il ritratto psicologico. E quale soluzione migliore, come in questo caso, del ricorso all’esemplificazione della musica schubertiana (Il Quartetto numero 15) che fa proprio della contrapposizione tra modo maggiore e modo minore (già a partire dal livido motto introduttivo) la perfetta espressione musicale del personaggio? Già da queste poche note diventa evidente come un più elaborato lavoro di analisi del rapporto tra Woody Allen e la musica sarebbe quanto mai auspicabile.

[novembre 2002]


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