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Addii - Alfredo Bini

Pubblicato il 20 ottobre 2010 da Simone Isola


Addii - Alfredo Bini

In una stazione Termini dei primi anni del dopoguerra, caotica e chiassosa, giunge dal nord un treno gremito di gente. Da un vagone scende un uomo stremato dalla fatica e dalle sofferenze della guerra. Fugge da Gorizia, in quei tempi oscuri di foibe una città pericolosa per gli italiani. Non ha molto con sé, dovrebbe ospitarlo una zia, chissà. Quel giovane non può certo prevedere il suo destino, ma ha dalla sua una voglia di affermarsi senza pari e una notevole intraprendenza nel tessere rapporti e nel crearsi occasioni.

Quell’uomo, Alfredo Bini, è stato uno dei più proverbiali self-made man del nostro cinema. Ha costruito il suo successo con metodo, partendo da misere basi economiche, arrivando lentamente ad essere uno dei produttori di punta del cinema italiano degli anni Sessanta. Coraggioso nel difendere strenuamente i suoi film, Bini per qualche anno è riuscito a tenere testa alla censura, portando avanti un cinema di ricerca felicemente provocatorio, moderno sia nel linguaggio che nei contenuti. Il suo cammino per giungere al successo è rivelatore di un’epoca ormai lontana, quando il cinema era davvero un settore in cui investire con fiducia e con reali prospettiva di guadagno.

Negli anni del dopoguerra Bini fa di tutto, dal manovale al claqueur in teatro, da rappresentante di latticini a “scrutatore” per lo spoglio delle schedine della “Sisal”. Poi inizia ad alzare la posta, organizzando alcune compagnia teatrali. E il cinema? Arriva ma a piccole dosi. Una comparsata su Fabiola di Blasetti; il ruolo di De Giustino ne Il brigante di Tacca del Lupo di Pietro Germi. L’impatto con il mondo della produzione avviene sul film Sinfonia d’amore di Glauco Pellegrini, una biografia romanzata del grande compositore Franz Schubert. In pochi anni da semplice segretario di produzione passa ad assumere incarichi di organizzatore generale e direttore di produzione per i film prodotti da Luigi Rovere e da Franco Cristalli. Un prezioso apprendistato sul campo lungo un decennio, con il quale Bini apprende tutte le dinamiche del set e i vari aspetti di una produzione cinematografica.

E’ un felice investimento nell’edilizia, la costruzione di 12 ville ad Ansedonia, che permette a Bini di mettersi in proprio e lanciare una nuova casa di produzione, l’Arco Film. E le frecce al suo arco sono molte: lo straordinario sodalizio con Pier Paolo Pasolini, dal quale nascono film come Accattone, Mamma Roma, Il Vangelo secondo Matteo, Uccellacci e Uccellini; le trasposizioni letterarie di Mauro Bolognini (Il bell’Antonio, La viaccia), che ottengono successo anche di sala in Italia e in Francia; la collaborazione con grandi nomi del cinema degli anni Sessanta, da Roberto Rossellini a Luigi Comencini, da Damiano Damiani ad Alberto Lattuada, sino a Jean-Luc Godard e Terence Young; l’investimento sulle giovani generazioni di registi, come Mario Missiroli e Ugo Gregoretti. I produttori di quegli anni investono capitali propri nella produzione cinematografica. Bini non dispone di somme paragonabili a quelle dei colleghi; per superare questo limite organizza vantaggiose coproduzioni con la Francia, evita il finanziamento statale della Banca del Lavoro e si rivolge prima di tutto al noleggio, puntando sulla fiducia ispirata dal prodotto. Un modo di lavorare nuovo che rende il suo cinema libero, svincolato dal ricatto economico, sufficientemente audace da sfidare i rigori della censura a film terminato.

Sono anni d’oro per tutto il cinema italiano; il mercato è ricettivo e l’attività frenetica. L’Arco Film arriva a produrre 3 opere l’anno. Il nome Bini è quello di un “uomo scomodo”, impegnato in film che cadono spesso nelle maglie della censura. Gli attacchi riguardano molti film, da Il bell’Antonio ai film di Pasolini, da Bora Bora di Liberatore al Satyricon di Polidoro. In quest’ultimo caso Bini ha il coraggio di rispondere alle accuse di oscenità mosse contro il film con un pamphlet ancora oggi attuale, "Appunti per chi ha il dovere civile, professionale e politico di difendere il cinema italiano". Le innumerevoli cause giudiziarie non lo sfiancano. In quegli anni, Bini sposa Rosanna Schiaffino; come gli altri produttori si unisce ad un’attrice di rare bellezza e qualità artistiche, per poi successivamente imporla nelle sue produzioni cinematografiche.

Il cinema italiano negli anni Settanta inizia vistosamente ad entrare in crisi e le produzioni Arco Film scendono drasticamente di qualità. Bini si incaponisce in un progetto costoso, l’Inferno di Dante per la regia di Franco Zeffirelli. La preparazione, costosa, si protrae per diversi anni. Zeffirelli si tira indietro, il progetto si blocca e per Bini il costo da pagare è salato. Nel 1994 viene nominato commissario straordinario del Centro Sperimentale di Cinematografia, si dice in quota MSI. Che importa. Sarà l’ultimo incarico di prestigio, l’ultimo barlume di notorietà. Gli ultimi anni sono i più difficili; la salute non è buona e le risorse economiche iniziano a scarseggiare. Bini ottiene nel 1998 il vitalizio previsto dalla legge Baccelli, che allevia almeno in parte le ultime sofferenze. Con lui si spegne uno degli ultimi testimoni della straordinaria stagione produttiva degli anni Sessanta. Uno degli ultimi self-made man del cinema italiano.


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