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Addii - Anita Mui

Pubblicato il 20 dicembre 2003 da Alessandro Borri


Addii - Anita Mui

Sembra che intorno a Rouge, capolavoro del mélo fantastico diretto nel 1987 da Stanley Kwan, aleggi una maledizione. Dei due protagonisti, Leslie Cheung se n’è andato ad aprile, gettandosi nel vuoto; Anita Mui se n’è andata a dicembre, al tramonto dell’anno. Quarant’anni, cancro, recita il dato oggettivo. Così, abruptamente, abbiamo perso una delle maggiori attrici degli ultimi vent’anni, e un tipo di diva di cui in Occidente si è ormai da tempo perduto lo stampo. Basterebbero le prime tre folgoranti inquadrature che descrivono il trucco di Fleur per avere un’idea del carisma che si sprigiona da ogni gesto di Anita: un’arte corporea maturata con una frequentazione dei palcoscenici che data dall’infanzia. “Lei sa muoversi incredibilmente bene”, disse Kwan: di più, nel film che farà di lei una star la Mui rivela una consapevolezza dei propri mezzi che deriva dalla conoscenza delle movenze dell’opera cinese come della stilizzata arte recitativa del muto. Non abbiamo mai visto nessuno portarsi una mano ai capelli con tale studiata eleganza, e il progressivo processo di dissolvimento della cortigiana fantasma chiusa nel cheong sam floreale, come il suo estremo sguardo di rimpianto e accettazione rivolto alla vita e al suo infingardo amante, rimangono tra i momenti indimenticabili consegnatici dalle new wave del cinema orientale. L’altra parte che consegna Anita alla leggenda è in A Better Tomorrow 3, dove proprio a lei tocca farsi carico della sagace opera di capovolgimento attuata da Tsui Hark sulla mitologia virile di John Woo. È lei che nell’inferno vietnamita “forma” il personaggio di Mark Gor (Chow Yun-fat), salvandogli a più riprese la vita, insegnandogli a sparare, guidandolo verso il lato selvaggio della vita. E, ancor più programmaticamente, costruendone il look, con gli occhiali da sole firmati Alain Delon e lo spolverino destinato a essere crivellato di colpi. Ma il personaggio di Anita brilla di vita propria, col suo fluente romanticismo spartito fra i tre uomini che la amano e le spettacolari azioni pistole alla mano. Quanto agli incredibili venti minuti conclusivi di agonia per le strade di Saigon e la morte sull’elicottero che vola nel tramonto verso la patria, non c’è forse scena migliore per spiegare a chi non lo sappia cosa sia lo spirito del mélo. Eppure, nonostante queste due prove, la popolarità di Anita fatica ad estendersi in Occidente. A volte il caso ci mette lo zampino. È lei infatti la prima scelta di Kwan per incarnare la divina Ruan Lingyu in Actress, e anzi il regista aveva pensato proprio alla personalità della Mui per il continuo rispecchiamento tra interprete e ruolo che caratterizza quest’altro suo capolavoro. Ma dopo i fatti dell’89 in piazza Tiān’ānmén Anita rifiuta di andare a lavorare in Cina, Ruan passa a Maggie Cheung che, prima attrice cinese, vincerà il premio per la miglior interpretazione a Berlino, e il destino vuole che Kwan e Mui non tornino più a collaborare (un altro più recente progetto che doveva riformare il trio di Rouge è ormai iscritto negli annali dell’utopia). Le strade delle due somme attrici della loro generazione si incroceranno ancora, comunque. Entrambe disposte a far da spalla a più riprese a Jackie Chan (o Stephen Chow), senza timori di intaccare il proprio allure (indicativa la scena di Rumble in the Bronx dove la Mui si ritrova con la casa crollata intorno mentre è seduta sulla tazza del gabinetto), si incontrano in Moon Warriors di Sammo Hung e soprattutto nel dittico Heroic Trio-Executioners di Johnnie To e Ching Siu-tung, dove con Michelle Yeoh danno vita al trio di supereroine deputate alla salvezza del mondo. Ché la Nostra si trova a proprio agio nel fantasy (anche nel memorabile Saviour of the Soul di Yuen Kwai e David Lai), nelle vesti glam della Shanghai anni ’30 (Au revoir mon amour di Tony Au ed Eighteen Springs di Ann Hui), o en travesti, come dimostra in Rouge, in Who’s the Woman, Who’s the Man di Peter Chan (dove si esibisce in una abissale scena d’amore con l’altra grande Anita di Hong Kong, la Yuen), o nel portentoso Wu Yuen di Johnnie To e Wai Ka-fai, che segna il suo ritorno al cinema dopo alcuni anni di assenza, e dove guida da par suo la danza con le giovani stelle Sammi Cheng e Cecilia Cheung. Ma se negli ultimi tempi aveva diradato le apparizioni sul grande schermo (da ricordare Dance of a Dream di Andrew Lau e July Rhapsody di Ann Hui), fino alla fine aveva affrontato il palco, gli estremi concerti a novembre. Anita era infatti per sovrappiù (insieme a Sally Yeah) una delle voci maggiori del canto-pop: quello più tradizionale, sì, alieno alle innovazioni di Faye Wong, ma capace di siderali vette emotive. È proprio col pensiero alla meravigliosa canzone di A Better Tomorrow 3 che vogliamo tributare l’estremo saluto ad Anita Mui, attrice, cantante, mito.

[dicembre 2003]


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