X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Addii - Corso Salani

Pubblicato il 17 giugno 2010 da Edoardo Zaccagnini


Addii - Corso Salani

Così, maledettamente all’improvviso, in una notte di giugno coi mondiali di calcio, lasciando sbigottiti e senza parole tutti quelli che lo conoscevano, e che per ciò amavano il suo cinema sobrio e poetico, se ne è andato Corso Salani. L’indipendente, il viaggiatore, l’uomo con la macchina da presa e un’automobile, un camioncino, una radio e qualche collaboratore al seguito. Poca gente, in giro per l’Europa, per il mondo, con gli occhi ben aperti, curiosi e appassionati di angoli nascosti, perduti, lontani. Cineasta di confine, dallo sguardo libero e profondo. Regista di volti, di corpi e di paesaggi. Apolide, fiorentino non italiano, almeno come regista, una volta l’ha detto lui stesso. Ibrido, sospeso tra finzione e documentario, persino finto, come nel caso de Gli occhi stanchi, qualche volta vinceva la finzione, qualche volta il documentario, ma sempre si intrecciavano in una specie d’amore e di stile salaniano. Nato nel 1961, appassionato di tanto cinema, anche molto diverso dal suo, uomo dal sorriso trattenuto e contagioso, affascinante, spesso produttore di se stesso, anche autista pur di stare sul set, o assistente alla regia, per imparare, come in Notte italiana di Carlo Mazzacurati. Persona interessante e piacevole, riservata ma disponibile, gentile e colloquiale, anche se ferma nelle proprie idee. Chiare e coerenti, quasi sempre buone. Corso Salani, sempre all’alba di un nuovo viaggio, oppure appena alla fine di uno già vecchio, magari ancora da montare, ed in procinto di diventare un altro film. L’ultimo, quello tra Cile ed Argentina, l’estate scorsa, presentato a Locarno col titolo Mirna, un nome di donna, perché pieno di donne è stato il cinema di Corso Salani. Osservate da vicino, muse, accompagnatrici, amiche, compagne di viaggio, accarezzate dal suo sguardo complesso, onesto, ammirato, per un road movie sulle possibilità comunicative tra due persone, una donna e l’altro uomo. Un autore scomparso troppo in fretta, Corso Salani, troppo presto, a soli 48 anni, dopo una quindicina di film realizzati da regista, ed amati da quelli che li hanno visti nelle piccole sale o in quelle grandi dei Festival di cinema. Opere povere ma belle, la prima del 1984, appena uscito dalla scuola di scienze cinematografiche di Firenze, girata in Super 8 sull’Isola di Capraia, e intitolata Zelda. L’ultima ieri, ancora da finire, montata in parte fino a poche ore fa, sembra impossibile. In mezzo tantissimo lavoro, da Voci d’Europa al già citato Gli occhi stanchi, da Palabras a Occidente, da Cono Sur a Conversazioni private, fino al più personale e originale dei lavori di un regista non omologato, Il peggio di noi, un monologo di 90 minuti per sfogare la rabbia di un autore verso i suoi collaboratori, più o meno stretti, dalla troupe all’attrice protagonista Paloma Calle, primo bersaglio di un atto doloroso e viscerale. Che colpisce e sorprende, ma che non infastidisce mai, perché è sincero, come è sincera la rabbiosa dichiarazione d’amore per il cinema che c’è dentro. Regista coraggioso, Corso Salani, amato dalla critica per il suo talento particolare, autore di film poco fortunati in sala, ma dalla lunga vita altrove, cineclub, festival, rassegne varie. Opere d’autore, lente ma non fredde, cercate ed apprezzate dai Festival, ma anche da un pubblico nascosto e nutrito, il piccolo esercito dei salaniani, schiera ben consapevole che per questo regista c’era poca differenza tra arte e vita, e che dentro i suoi film c’era un’ anima nuda, oltre e prima che la sua faccia. Per altro anche prestata a film di altri, belli, o come Piano, solo, di Riccardo Milani, o come La fine è nota, di Cristina Comencini. Come ll Muro di Gomma o Il continente nero, entrambi di Marco Risi, un amico di Salani, quello che decise di produrre i suoi primi film, prima che altri si accorgessero di Corso. Un nome su tutti, Enrico Ghezzi, sempre pronto a spendere parole importanti per questo autore singolare appena scomparso. E pronto pure a sostenerlo coi fatti, producendo, assieme a Gregorio Paonessa, la serie di documentari "Confini D’Europa", sei viaggi in luoghi remoti del pianeta, dal portogallo ad Israele, dalla Finlandia all’Ucraina. Film interessanti di Salani attore, dicevamo, a volte di registi giovani e come lui indipendenti. Pensiamo a Il vento, di Sera e All’amore assente, entrambi di Andrea Adriatico, o come Mar nero di Federico Bondi . Tutto sempre fatto con instancabile passione, fino a ieri sera, senza avvertire gli appassionati di lui, che oggi rimangono quasi in silenzio, ancora incapaci di comprendere l’accaduto. Quasi soffiano la notizia, così come noi, quasi senza voce, gli diciamo un amaro e caloroso ciao.


Enregistrer au format PDF