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Addii - David Carradine, l’uomo del kung fu al servizio di Tarantino

Pubblicato il 5 giugno 2009 da Donato Guida


Addii - David Carradine, l'uomo del kung fu al servizio di Tarantino

Ci risiamo: nuovamente la venuta della morte rattrista il mondo del cinema; il fatto, poi, che essa giunga in modo violento, brutale ed improvviso, rende il dolore ancor più lancinante. L’ultimo sconforto era stato vissuto per la scomparsa di Heath Ledger, stroncato, a soli 28 anni, dagli effetti combinati di sonniferi e ansiolitici: l’“eterna promessa” del cinema raggiungeva così il tetro albo dei miti cinematografici, già mestamente pieno di nomi quali James Dean, Marylin Monroe e John Belushi.
A poco più di un anno dall’ultima scomparsa (avvenuta il 22 gennaio del 2008), oggi Hollywood (e non solo) piange la perdita di John Artur Carradine, meglio conosciuto come David. Il suo corpo è stato ritrovato, la mattina del 4 giugno 2009, all’interno della Suite Room numero 352 del Park Nai Lert Hotel in Wireless Road, a Bangkok. Tante e ancora inconcludenti le ipotesi sulla morte dell’attore settantatreenne: c’è chi parla di suicidio e c’è chi parla di una possibile conseguenza di un gioco erotico (alcuni quotidiani tendono a sottolineare che il corpo di Carradine è stato ritrovato in un armadio, completamente nudo).
Questo articolo non vuole rispondere a possibili supposizioni, e nemmeno vuole intromettersi sulle decisioni (di vita e di morte) prese dall’attore: esso vuole solo tentare di offrire, in modo sintetico, serio e sentito, la lettura di una carriera costellata di grandi successi, tristi cadute e poderose “rinascite”.
Nato a Hollywood l’8 dicembre del 1936, si potrebbe parlare di lui dicendo che “è un membro della famiglia Carradine” (che, insieme alla famiglia Coppola, vanta il maggior numero di nomi nel panorama cinematografico hollywoodiano): figlio dell’attore John Carradine (uno dei più importanti per la storia cinematografica americana, “utilizzato” da registi di grande fama quali Cecil B. DeMille, John Ford, Jean Renoir, Nicholas Ray, Henry King, Woody Allen, Martin Scorsese e Francis Ford Coppola, solo per citarne alcuni), fratello dell’attore Bruce Carradine, fratellastro di Keith Carradine – il bello e fatale Tom Frank dell’altmaniano Nashville (1975) –, Robert Carradine e Michael Bowen, e zio di Martha Plimpton ed Ever Carradine.
È stata davvero lunga e piena la carriera di David Carradine, la cui fama internazionale è stata ottenuta (paradossalmente) grazie alla televisione: chi non ricorda, infatti, l’attore che indossa i panni di Kwai Chang Kaine, l’indiscusso protagonista di Kung Fu, serie televisiva degli anni ’70 che si diceva essere stata ideata da Bruce Lee (il quale, tra l’altro, doveva anche parteciparvi come protagonista). Certo, a ben pensarci ora sarebbe stato davvero difficile vedere David Carradine lontano da un ruolo che non prevedesse tecniche di combattimento asiatiche; eppure, la grande professionalità di un attore fuoriesce proprio nel momento in cui viene annullata la sua “eterna caratterizzazione”: i grandi autori che a lui si sono affidati per realizzare le loro opere non hanno mai avuto rimpianti; ancora oggi chiunque potrebbe apprezzare le storiche interpretazioni con le quali Carradine ha deliziato gli spettatori in quasi quarant’anni di carriera. Martin Scorsese lo volle per interpretare “Big” Bill Shelly nel suo Boxcar Bertha (America 1929: sterminateli senza pietà, 1972), Hal Ashby vide in lui un perfetto Woody Guthrie, il cantante folk che proprio l’attore di Hollywood ha interpretato nel film Questa terra è la mia terra (Bound for glory, 1976), infine anche un “mostro sacro” della cinematografia internazionale come Ingmar Bergman non è rimasto immune dalla bravura di Carradine, offrendogli il ruolo di Abel Rosenberg, l’ebreo trentacinquenne di origine lettone protagonista di L’uovo del serpente (Das Schlangenei, 1977).
Oltre poi ad essere apparso in altre serie televisive come Streghe e Alias, bisogna dire, però, che le arti marziali non hanno mai smesso di affascinarlo ed essere parte integrante della sua vita: non a caso la sua fama si deve anche al fatto di aver prodotto ed interpretato alcuni video in cui insegnava le arti marziali del Tai chi e Qi Gong. Ebbene, dopo alcuni anni di silenzio (almeno in Italia, dove la sua figura è stata ignota per molto tempo, soprattutto ai più giovani che non hanno mai nemmeno conosciuto il Kwai Chang Kaine di Kung Fu), la ribalta gli viene offerta dal “grande cinefilo pazzo” Quentin Tarantino. Oggi, non appena si citi il nome David Carradine, la memoria rimanda subito al Bill di Kill Bill vol. 1 (2003) e Kill Bill vol. 2 (2004). Il merito dell’autore di Le iene (Reservois dogs, 1992) è stato quello di affidare all’attore di Hollywood un ruolo che (probabilmente) nessun altro avrebbe potuto interpretare: vero e proprio pallino di Tarantino – già citato in Pulp fiction (1994), quando Jules Winnfield/Samuel L. Jackson confessa al suo collega gangster Vincent Vega/John Travolta di «voler fare l’asceta, essere come David Carradine in Kung Fu» – l ’attore sembra far sposare perfettamente il suo corpo, le sue movenze (nonché la sua storia cinematografica) con i “sempreverdi” e taglienti discorsi tarantiniani; chi altri se non Carradine poteva divenire un letale killer dall’animo buono, conoscitore degli uomini, portatore di varie ed affascinanti filosofie personali ed esperto di arti marziali? Ed è proprio nel finale dell’opera di Tarantino che si crea una summa di tutte queste tematiche: prima che “La Sposa” Beatrix/Uma Thurman uccida Bill/Carradine con la tecnica dell’esplosione del cuore con cinque colpi della mano, l’uomo si lascia andare ad un perfetto ragionamento tarantiniano, riuscendo a spiegare (sia alla Thurman che allo spettatore) il motivo per il quale Beatrix è e resterà sempre un’assassina: è nella sua natura – dice Bill – e non può rinunciare a tale natura; e nel fare questo, l’uomo paragona la donna a Superman, il suo supereroe preferito, l’unico che, per divenire tale, non ha bisogno di indossare una maschera: anzi, è il contrario, egli indossa una maschera per divenire uomo (Clark Kent) e per mischiarsi tra gli uomini, che vede come esseri deboli e goffi.
Oggi, 5 giugno 2009, il cinema piange la scomparsa di un grande attore del passato; ed è arrabbiato, il cinema, così come i suoi spettatori, perché non potrà più assistere alle sue interpretazioni che, magari, avrebbero potuto offrire nuovi ed intriganti monologhi come quello appena citato.
La memoria, però, è ancora forte e, pur se violento e brutale, nessun nodo scorsoio riuscirà mai a cancellarla.


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