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Addii - James Horner

Pubblicato il 23 giugno 2015 da Ludovico Peroni


Addii - James Horner

È una vocazione particolare quella del compositore di colonne sonore: una vita spesa al servizio dell’immagine, della sensibilità del tempo e dell’espressione.
Raramente, il compositore, può permettersi il lusso di scrivere musica svincolata dalla sua componente a carattere “iconico” ed “evocativo”: non per questo però è giusto, assiologicamente, mettere la musica impiegata in colonne sonore su un piano diverso rispetto a quello della musica (come si è soliti dire) “assoluta”.
Questo pregiudizio viene spesso riassunto attraverso l’utilizzo acritico della coppia oppositiva musica assoluta-musica applicata: fatto che, in rapporto alla storia del pensiero e dell’estetica occidentale, porta il secondo termine della coppia inevitabilmente su un piano di valore artistico inferiore.
La viva storia della musica però non riesce a vivere di concetti ideali, nonché idealizzati, in grado di alternarsi perfettamente con logica soluzione di continuità: vogliamo a questo proposito considerare James Horner come testimone vivente di questo merito artistico.
Compositore di alcune delle colonne sonore più diffuse e pregevoli degli ultimi venti anni, James Horner non ha mai nascosto una certa predilezione musicale per la scuola d’arte scritta russa di inizio secolo scorso: riconosciamo spesso nelle sue composizioni, oltre che le innumerevoli citazioni e richiami diretti, un sapiente e discreto utilizzo di una simbologia musicale che farebbe pensare addirittura allo Skrjabin più mistico ed evocativo. Autore russo che, ante literam, ha anticipato molta musica del novecento con i significati che egli stesso amava attribuire alla musica; musica che, alla fine della sua carriera, poteva essere considerata quasi come una sorta di inventario dei moti dell’animo del compositore scaturiti dalla sua relazione con oggetti, immagini, concetti e, non secondariamente, intuizioni.
Skrjabin fisicamente non c’è più e così da ieri, 22/06/2015, anche James Horner.
Più che fornire per Close-up uno sterile elenco dei lavori cinematografici del compositore e direttore statunitense, alla luce delle considerazioni poco fa formulate, reputiamo che sia cosa più giusta ricordare l’uomo e l’artista attraverso la sua opera che, fino a prova contraria, sarà la cosa che più resisterà al processo di erosione innescato dal tempo e dalla nostra cultura in completo decadimento. Non pensiamo ci sia modo migliore per ricordare un artista.

Jake’s first flight è una composizione che dimostra come la potenza delle immagini evocate dalla musica riescano ad ergersi a significanti primari ancora prima (sul piano del livello percettivo) rispetto all’immagine visuale: la forza di tale musica passa anche per l’utilizzo di archetipi musicali che il compositore riesce ad estrapolare dall’orecchio comune e restituirlo senza troppe sovrastrutturazioni del pensiero musicale.

Il brano inizia rivocando atmosfere eterne ed eteree: con l’esposizione di alcune note del tema principale da parte di pochi ottoni su uno sfondo di archi che (da 0:28) sfuma lasciando crescente spazio ad un coro di voci e le incalzanti percussioni.
Inizia l’andamento prettamente percussivo del brano (1:00) che, con l’ingresso anche di una figurazione ritmica ostinata del pianoforte, descrive un ciclo ritmico di 4 + 2 pulsazioni di riferimento, con la sola eccezione del prolungamento (4+4+4 pulsazioni) del ciclo a conclusione dopo l’ultima frase del tema (1:34): quest’effetto – aiutato anche dalla brusca interruzione delle percussioni (1:37) – aiuta il compositore a creare uno stato di sospensione temporale e spaziale.
Quest’effetto è sfruttato da Horner come pretesto per l’inserimento di una fase di transizione (1:40 – 2:02), affidata al timbro della voce e gli archi, con funzione modulante sia in relazione al “modo” che all’altezza dell’esposizione tematica
Da qui (2:02 – 2:16) una veloce sequenza che conduce alla vera seconda sezione-immagine della composizione che potremmo chiamare (riferendoci alla chiara evocazione) “volo”: dopo una trionfale e breve fanfara assistiamo al passaggio di testimone rimico dalle percussioni (appena accennate in svanire 2:37) ad una larga sezione affidata agli archi.
La composizione da questo momento cambia tessitura sonora e modi: arrivato all’effettiva coda di Jake’s first flight, Horner cerca di lavorare sulla sottrazione per poter affidare il tema, in “modo minore”, ad una singola voce.
Con andamento quasi ciclico, l’eterno tema degli ottoni, enunicato in apertura del brano, trova continuazione intima ed incarnata per mezzo dell’utilizzo della voce che riesce a supportare tutto il vissuto musicale verso la sua naturale estinzione in una dubbiosa atmosfera di pace. L’esperienza del volo è ora compiuta con un’arsi che accompagna l’ascoltatore in un universo di sensazioni composite e non banali dove riescono a coesistere riverenza, paura, meraviglia e dubbio.
Nel volo – come accade nell’esperienza estesica della musica – non importa effettivamente se vissuto per la prima o ultima volta, ma conta tutto ciò che riusciamo effettivamente ad esperire come sensazione di irrepetibile meraviglia.


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