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Addii - Michel Serrault

Pubblicato il 30 luglio 2007 da Fabiana Proietti


Addii - Michel Serrault

Michel Serrault è venuto a mancare questa mattina. E la sua scomparsa è stata subito oscurata da quella di un altro grande, Ingmar Bergman. Una strana ironia che trova anche nella morte la conferma di quanto il grande attore francese è stato in vita: una presenza defilata, lontana dalle glorie facili della ribalta e del jet set.
Ci sono attori che entrano silenziosi nei loro ruoli, per poi lasciarli in modo altrettanto impercettibile, attori che vivono i loro personaggi senza imporgli la propria ingombrante presenza.
Michel Serrault era così. In tempi in cui il mestiere d’attore si è mutato in una continua sovraesposizione di Sé, tanto da svuotare il significato stesso della recitazione perché il pubblico vede sullo schermo il divo e non il personaggio, è difficile inquadrare il lavoro dell’interprete Serrault.
Come Jean Claude Brialy, altro grande scomparso di recente (con cui Serrault ha duettato in Carambolages), ha attraversato quarant’anni di cinema europeo senza assurgere mai ai ruoli di divo o sex symbol conquistati invece da Belmondo o Delon. Ma se Brialy ha legato indissolubilmente il suo volto alla stagione irripetibile della Nouvelle Vague, diventandone icona assieme a Léaud, Serrault presta la propria faccia, quell’aria sempre un po’ guardinga e dimessa al cinema francese in lungo e in largo. Dalla commedia, con il celebre Zaza del Vizietto di Edouard Molinaro, al sentimentale con Nelly e Monsieur Arnaud di Claude Sautet toccando il thriller e il noir con le due opere firmate da Claude Miller, Guardato a vista e Mia dolce assassina.

E’ con queste pellicole che Serrault raggiunge le vette più alte del suo mestiere, diventando in qualche modo l’interprete ideale per un cinema artigianale di alta fattura che, lungi dall’appartenere a scuole o correnti ben delineate, percorre i generi e le emozioni con un senso del cinema comunque alto. E’ nel duello recitativo con l’imponente e massiccio commissario interpretato da Lino Ventura, nel già citato Gardé à vue di Miller, che Serrault sfrutta al meglio la propria fisicità, quel volto normale, di persona beneducata, un viso neutro capace di acquisire un’improvvisa ambiguità, rivelando le ossessioni di un piccolo borghese che perde pian piano la sua aria perbene. Non poteva quindi non incrociare la sua strada con quella del regista che sullo smascheramento delle perversioni borghesi ha cucito la propria poetica, Claude Chabrol, che lo dirige due volte, nel quasi introvabile I fantasmi del cappellaio e in uno dei suoi lavori più lontani dal modello, la truffaldina commedia Rien ne va plus.
Questi e tanti altri ancora i film e i personaggi cui Serrault ha prestato il suo volto, e la sua scomparsa, che si accompagna a quella di tanti altri grandi interpreti, come il già citato Brialy e Philippe Noiret, risulta ancora più triste.
Perché oltre all’uomo privato e all’artista pubblico, se ne va con loro un’idea di cinema a cui, nel panorama attuale, non si può fare a meno di guardare con un certo rimpianto. Non perché fosse sempre qualitativamente migliore e non per semplici tendenze reazionarie; è piuttosto l’umanità, la passione del mestiere artigianale, e di cui Michel Serrault era uno dei più vividi rappresentanti, che viene ora a mancare, suscitando la più grande nostalgia.


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