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Addio a Paolo Villaggio

Pubblicato il 3 luglio 2017 da Stefano Colagiovanni


Addio a Paolo Villaggio

Oggi é un giorno tristissimo per il cinema italiano e, forse sì, per l’Italia tutta. Si é spento Paolo Villaggio, probabilmente l’ultimo straripante mostro sacro della comicitá nostrana. L’attore genovese, nato il 30 dicembre 1932, aveva 84 anni.

Villaggio aveva iniziato a muovere i suoi primi passi nel mondo dello spettacolo tra sporadiche apparizioni nel cabaret e nel teatro amatoriale. La verve e l’istrionismo del comico ce li aveva cuciti addosso, come una seconda pelle, mentre il suo estro creativo si affinava sempre piú grazie anche alla profonda amicizia con Fabrizio De André, per il quale aveva scritto Il Fannullone e Carlo Martello ritorna dalla Battaglia di Poitiers, celebri e amate dai discepoli di Faber (soprannome che lo stesso Villaggio gli affibbió).

Ci pensó Maurizio Costanzo a imporre al vulcanico Villaggio il salto di qualitá: Costanzo lo portó con sé a Roma, lo fece debuttare a teatro, gli diede spazio in radio e alla fine lo consacrò alla televisione dove esordirono il Professor Kranz e il nevrotico Fracchia (due delle sue maschere piú celebri, la prima poi messa da parte, la seconda riutilizzata poche altre volte). Tra le trasmissioni da ricordare: Quelli della domenica, Canzonissima e Gran varietá.

Una delle esperienze che piú incisero sulla formazione professionale di Villaggio fu l’impiego, all’inizio degli anni Sessanta, in una delle maggiori aziende europee di impiantistica: non adatto a questo ruolo lavorativo, l’esperienza come impiegato duró poco, ma consentí a Villaggio di assimilare quei meccanismi gerarchici e collaborativi che intercorrevano tra i dipendenti e i datori di lavoro dell’azienda.
Da qui, il colpo di genio: Villaggio inizió a scrivere una serie di racconti con protagonista uno sventurato e ingenuo ragioniere, Ugo Fantozzi, impantanato tra un lavoro asfissiante e l’incapacitá di emergere come individuo in una societá sempre piú arrivista e dominata da un divario sempre piú netto in chiave intellettuale ed economica tra datore di lavoro e semplice impiegato (essenziale spunto simbolico per il contesto sociale che Villaggio voleva mettere alla berlina).
Nel 1971 la casa editrice Rizzoli pubblicó i racconti sul ragionier Fantozzi e il successo fu immediato; un successo che diede vita alla collaborazione tra Villaggio e il regista Luciano Salce, che consentí loro di realizzare Fantozzi (1975), primo film di una serie di dieci titoli complessivi (seppure giá a partire dal secondo film, quella dirompente potenza espressiva e concettuale contenuta in esso andó sempre piú affievolendosi).

A cominciare dai racconti sul ragionier Fantozzi, si comprese quanto Villaggio nascondesse un genio creativo dallo spiccato acume e senso dell’ironia, artista perspicace, dal carattere complesso e ruvido: la sua maschera piú celebre continua ancora oggi a suscitare simpatia e ilaritá, in quanto personaggio tragicomico ed eterno sconfitto, simbolo di coriacea rinuncia all’arrendevolezza e intriso di romanticismo. Come affermó lo stesso Villaggio piú volte, "Fantozzi fa ridere perché é un personaggio triste": Fantozzi non é un personaggio fasullo e grottesco, ma al contrario é un personaggio tragicamente normale, imprigionato in un mondo (nella sua vita) colmo di valori fasulli; il ragionier Ugo Fantozzi piace perché rispecchia non l’italiano degli anni Settanta, ma l’uomo comune, che sogna, lotta e, alla fine, spesso inevitabilmente fallisce. Grazie al suo personaggio feticco, Villaggio ha saputo intaccare per sempre l’immaginario comune, dalle espressioni gergali a tutta una serie di cliché e situazioni mondane, grazie a una comicitá pungente, mai offensiva, ma intelligente e sorretta dall’esigenza di dover mostrare ed esasperare ogni aspetto della vita dell’amato ragioniere. Fantozzi é colui che nessuno vorrebbe essere, mentre ci accorgiamo di essere un pó tutti maledettamente simili a lui.

Oltre alle (dis)avventure del buon ragioniere, va ricordato il Villaggio che collaboró con con Mario Monicelli in Brancaleone alla crociate e con Vittorio Gassman che se ne innammoró talmente tanto da pretenderlo spesso al suo fianco, nonostante piú volte lo avesse apostrofato di essere un pessimo attore, mentre Villaggio sosteneva che il loro sodalizio era quasi necessario, dato che Gassman, a suo modo di vedere, mancava di comicitá.
Federico Fellini gli dedicherà il suo ultimo film, La voce della luna in coppia con Roberto Benigni; lavoró con Ermanno Olmi in La leggenda del bosco vecchio, con Lina Wertmuller in Io speriamo che me la cavo, ancora con Monicelli in Cari fottutissimi amici e in tantissimi film e sceneggiati televisivi, comici e non, assieme a noti colleghi come Renato Pozzetto, Lino Banfi e Diego Abatantuono, giusto per citarne alcuni.

Villaggio fu premiato nel 1992 con il Leone d’oro alla carriera (il primo mai dato a un comico). Vinse due David di Donatello: il primo, nel 1990, come miglior attore per La voce della luna di Federico Fellini, il secondo alla carriera nel 2009. Nel 2000 gli fu assegnato il Pardo d’onore al Festival internazionale del film di Locarno, sempre alla carriera.

I nostri onori, Maestro. Vadi pure.


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