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Addii - Tonino Guerra

Pubblicato il 21 marzo 2012 da Alessandro Izzi


Addii - Tonino Guerra

Troisdorf è oggi un grosso centro abitato vicino Colonia, sui confini della Renania Settentrionale-Westfalia.
Lo potete ben immaginare costituito di casette alemanne, coi tetti spioventi, a comporre quartieri intorno a strade dai nomi scioglilingua. Di suo, la città, si porta cucito addosso, come una bella medaglia al valor militare, il titolo di Große kreisangehörige Stadt, un modo tutto teutonico per dire più grossa città del circondario. Ma Troisdorf, che a dirla tutta è grande, non è il capoluogo del suo bel circondario, ma “solo” un agglomerato urbano con una sua storia anch’essa ingombrante alle spalle.
In questa sua storia non mancano, come da copione, scheletri nell’armadio. Il più grosso non è neanche del centro cittadino, ma sta un po’ fuori, discosto dalle strade principali, nascosto in mezzo ai boschi delle selve che la televisione tedesca avrebbe presto ripopolato di ospedali e luoghi di ricovero. Vicino Troisdorf, infatti, sorse in tempi di guerra, un campo di lavoro e di concentramento.
Non uno dei più terribili, certo, ma costruito nello stesso proverbiale stampino nel quale furono forgiati Dachau o Sachsenhausen.
In questo campo, vi fu, per certo tempo, anche un italiano. Arrestato e messo ai ceppi dei lavori forzati più deprimenti, questo giovine sognava in piccolo, le mura di casa sua. E non potendo ricostruirla nei ricordi, ne ricompose l’atmosfera con muri di parole tutte del dialetto delle parti sue: il romagnolo. Pensò, quest’uomo che l’allegria non voleva perderla neanche nei posti più bui, in versi e quei versi li usò per divertire i suoi compagni di sventura. Piccole poesie ad uso umano seppur sorte in luoghi d’abominio, queste poesie erano, in realtà quadrucci di malinconia, conditi con dolce ironia, di quella che ti deve strappare il sorriso in mezzo alle lacrime.
Sembrerebbe, questa storia, il soggetto di un autore che cerca un successo alla Train de vie, ma è vita vera di un uomo che aveva un nome e cognome e quest’ottimismo, condito col sale del dolore e quindi, non banale e mai melassa, se lo è portato dietro tutta la sua lunga vita. Quel nome e quel cognome sono Antonio e Guerra. Nato poeta, già pittore (passione degli ultimi suoi anni) sin dai primi versi, Tonino è stato, prima di tutto, questo: un reduce.
Da reduce ha saputo sulla sua pelle quale fosse il dolore dell’incomunicabilità, della difficoltà di dirsi agli altri e di comprenderne l’idioma, e li mise in sceneggiature per Antonioni.
Da reduce capì l’amarezza dell’esclusione e il bisogno di sogno, non solo per evadere, ma anche per rendere più sopportabile l’eterno girovagare del circense e lo pose in parole per Fellini.
Da esule costretto, afflitto dallo stesso sale che dà troppo sapore al pane altrui, trovò sul suo percorso altri esuli, come lui, e ne fece amici di storie spesso folgoranti. E il nome di uno di questi fu Tarkovksi, con cui viaggiò alla disperata ricerca di scorci di Russia in quel della Toscana.
Da vittima di regimi totalitari, costretto allo spettacolo della morte, sentì il bisogno di scrivere almeno un film che fosse distopia e riflesso d’un mondo impazzito e scrisse La decima vittima per Elio Petri.
Infine da anziano poeta laureato, che già sentiva come roba vecchia la sua stessa poesia, cominciò a cantare il Tempo per Anghelopulos e ne fece materia per lunghi piani sequenza che seguivano il lento incedere della Storia.
Dove che andasse, comunque, il buon Tonino conservò sempre quello spirito fanciullesco che, nottetempo, tra le ronde del campo di concentramento e le notti di fame, allietava se stesso e gli altri di fitta nostalgia. Ogni suo libro di poesia, ogni testo per il cinema, ogni quadro, ogni progetto fu sempre scarabocchio che per tener lontano un ricordo di dolore ne avvicinava un altro di affetto, di ricordo e di sogno. E questa sua capacità di trovare consolazione anche nel dolore è, forse, il suo lascito più grande.
Oggi che si è spento, a novantadue anni e scegliendosi con ironia il giorno mondiale della poesia, ci sorprende il pensiero che, forse, in alcuni suoi momenti, il suo ottimismo è stato forse eccessivo, ma la sua poesia è stata grande e l’impronta sulla cultura italiana profonda. E così lo ricordiamo, con gli occhi lucidi, a recitar con un sorriso velato di lacrime, una poesia leggera della terra sua amata.


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