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Alessio Arena - Bestiario familiare

Pubblicato il 20 giugno 2015 da Alessandro Izzi


Alessio Arena - Bestiario familiare

Tra ieri e oggi c’è appena lo spazio per una bugia sussurrata stretta tra le labbra.
La bugia del tempo che passa e che ingentilisce il passato riempendolo della polvere di occhi che cercano distanze più rassicuranti.
Ma ieri e oggi sono qui. Sono con noi. Sono dentro di noi. E ogni nostro possibile futuro si costruisce solo impastando insieme la calce del passato con le lacrime del presente. Possibilmente senza perdere nulla nel processo, perché ogni perdita sarà una crepa nel muro che ci apprestiamo a costruire.
Soprattutto ieri e oggi sono, in fondo, il nostro sempre. Ce lo portiamo attaccato addosso, parte integrante dei nostri sguardi, dei nostri vezzi, del nostro semplice esserci. E se ieri è la nostra radice, oggi è invece l’albero che sfida la terra, che spezza le zolle e che caparbio si arrampica verso il cielo. Un albero che cresce senza buttare via altro che le foglie, quando la stagione è quella giusta e il dolore è mitigato dallo scricchiolio dei passi di chi cammina alzando il bavero della giacca verso quel freddo che presto arriverà.

Alessio Arena dà veramente l’impressione di volersi fare albero, quando canta le sue canzoni. E dà questa impressione perché, come un albero, lui sembra essere cresciuto semplicemente aggiungendo un anello a ogni compleanno. Senza perdere nulla, ma tenendosi a tesoro ogni cosa che ha incontrato, ogni esperienza fatta.
Certo tra le esperienze che racconta e canta ci sono anche i saluti, gli addii, i mai più che fanno parte del nostro vivere, ma questi restano placidi, gentili, offerti all’ascoltatore con una semplicità che un po’ disarma e un poco intenerisce.
Lo si capisce, questo suo bisogno di continuare a tenere, già solo dall’uso delle lingue. Oggi, nel CD di Bestiario familiare, è avui, parola catalana appresa da chi ha lasciato l’Italia in cerca di maggior fortuna in Spagna. Ieri è, invece, ajere, napoletano, quello dei vicoli scuri e dei supportici ricordati con una malinconia che a tratti sospira di notte come il pianoforte di Di Giacomo. Tra ieri e oggi ci sono l’italiano e lo spagnolo di un’identità che non è fermata al dettaglio spiccio delle indicazioni di un documento prestampato che si concede un solo spazio di follia nel rigo spesso vuoto dei “segni particolari”.
Questa contaminazione linguistica spezza ogni schematismo facile. Ci dice di un giovane autore che nel corso della sua vita ha parlato varie lingue e in ciascuna ha lasciato un pezzetto di cuore. Sicché, cantando, si può facilmente passare dall’una all’altra quando appena il vento delle emozioni spinge le foglie nella giusta direzione. Un miracolo, questo, che alle volte si invera addirittura nello spazio di una stessa canzone.
Questa contaminazione, che agisce anche nella costruzione poetica delle frasi, spesso, più che disegnare idee, scivola sui significati in un gesto metamorfico a suo modo originale. Così più che la singola parola è il giro di frase a nascondere un possibile significato.

“Levati la fantasia
senti a mamma tua”
Disse l’osso al cane
ed io ti do ragione.
Stasera mi metto a tavola
con te
mi mangio le parole.

si dice in Tutto quello che so sui satelliti di Urano, forse il brano più fantasioso dal punto di vista linguistico. Un periodare che apre squarci di intuizione nell’ascoltatore, che dice per alludere a emozioni più riposte, a pensieri più fondi e meno facili da catturare. Magnifiche bugie, in fondo, come ci ammonisce la prima canzone del CD, aperta dal suono frusciante di quella che dovrebbe essere pioggia ed è solo, invece, uno strumento musicale.
Perché ci si confessa solo mentendo, ci si dice nascondendoci.

Bestiario familiare, titolo stranamente denso di memorie letterarie, è, però, soprattutto squisita operazione musicale. È il frutto del lavoro di un cantautore che sa cesellare i testi, assecondandone l’andamento con un preciso senso di struttura. È il risultato di un lavoro in cui si ricerca una dimensione paritaria tra testo e musica, con sorprese spesso imprevedibili. Come nell’inizio inaspettato La maleta perdida de Daniel Gonzàlez con la nota ribattuta del pianoforte (idea fissa sottolineata dal timbro argentino del triangolo) che dà spazio prima al giro grave del violoncello e poi all’arpeggio inquieto del pianoforte in aperta contraddizione con il tono colloquiale e dolce della voce.
Oppure il ritmo ossessivo e l’orchestrazione minimale di La raíz che definisce gli spazi per una lirica secca che si apre a un canto più spiegato solo nella parte centrale sostenuta dal timbro basso del violoncello.
O nell’eccezionale costruzione polifonica che si spalanca in un anelito alla fuga di Himne, un racconto commovente e pieno di contratta nostalgia degli italiani a Barcellona.
Mirabili, ancora, le sonorità di Luntano, dove si sente quasi un’impressione di clavicembalo tra i suoni pizzicati della chitarra, come se gli echi lontani si spingessero verso una Napoli barocca.
E, in fondo, la musica di Alessio Arena ci sembra un intriganti melting pot di stili, materie, suoni e suggestioni culturali che ancora attingono dal qui e dal lì, tra Spagna e Italia, tra ieri e oggi.

Bestiario familiare è una sorpresa gradita in un panorama musicale che, soprattutto nel cantautorato, appare essenzialmente votata ad un anonima omogeneità di finte differenze. Forse qualche difetto di impostazione nell’impaginazione del percorso musicale ancora c’è. Certo, come è naturale, ci sono canzoni più belle di altre. Ma quel che proprio non si può negare, ascoltando questa musica, è che essa sia l’espressione della commovente gratitudine di un uomo che, prima di tutto, ha saputo e voluto ascoltare.


Autore: Alessio Arena
Titolo: Bestiario familiare
Etichetta: diMusicainMusica

Tracklist: 1) La meva mentida preciosa 2) Jeroglíficos egipcios 3) La dona que es diu Muntanya 4) La maleta perdida de Daniel González 5) Tú yo y los trigres 6) Autobiografia dels meus pares 7) Cançó de bressol per a un nen de 100 anys 8) La raíz 9) Himne 10) Luntano 11) La canzone delle mani aperte 12) ’ntonietta (Torino, 1959) 13) Tutto quello che so dei satelliti di Urano 14) Vocca e rummore 15) Girotondo 16) L’esorcismo di Marinella 17) Supportico della vita n. 2


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