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Ally McBeal

Pubblicato il 23 agosto 2002 da Alessandro Izzi


Ally McBeal

Lanciato da Italia 1 come un nuovo anti Friends, Ally McBeal è, a suo modo, una piccola sorpresa. Non tanto e non solo per i suo contenuti apparentemente politically uncorrect che vi vengono proposti con divertita nonchalanche, quanto piuttosto per la marcata abilità con cui vengono confezionati i vari episodi con le loro divertite/divertenti novità di scrittura. I temi di fondo dell’opera, in effetti, non brillano certo per originalità. Dalla non proprio feroce satira sul mondo degli avvocati, ai problemi sociali della solita donna in carriera, con annesse discriminazioni sessuali (senza che sia esclusa la possibilità che spesso sia l’uomo stesso ad essere ridotto ad oggetto del desiderio dalla divertita società femminile di cui fa parte la protagonista), Ally McBeal è tutto un concentrato di quelli che sono diventati, da qualche anno a questa parte, i nuovi luoghi comuni della società americana. L’elemento che rende, in qualche modo, più vitale la serie è proprio il lavoro sull’immagine (e sul suono) che vi viene messo in atto. Tanto per cominciare rimarchiamo l’uso intensivo di brevissimi inserti di montaggio che interrompono la linearità del racconto per fornirci la visualizzazione dei pensieri e dei desideri della protagonista. Non si tratta, come si potrebbe pensare, della materializzazione del contenuto inconscio della mente di Ally, ma, piuttosto, della visione del processo di affioramento del rimosso nella sua psiche. La macchina da presa, in altre parole, registra con divertita ironia il processo mediante cui le pulsioni inconsce della donna (per lo più di chiaro sfondo sessuale) emergono bruscamente nell’Io condizionandone le scelte e determinando, di fatto, il suo modo di rapportarsi con il resto del mondo. La confusione (anche a livello visivo) si fa evidente dal momento in cui è la stessa protagonista a non avere una netta differenziazione tra il mondo reale e fattuale in cui vive e quello che la sua mente crea anche se per brevissimi momenti. Pur percependo le proprie fantasie come tali, Ally, infatti, viene continuamente disorientata dalla violenza con cui i propri desideri si concretano in immagini. Da qui i continui lapsus, le insistite iterazioni di cui è disseminata la sua vita, al lavoro come nel privato. Fatto è che, se i contenuti rimossi dell’inconscio emergono con bruschissima energia nella sua mente, l’azione repressiva del SuperIo (identificato per lo più con la società maschile, per di più di avvocati e, quindi, di detentori della legge) nei loro confronti è non meno pesante. Il ritorno alla realtà è, nell’economia del racconto, sempre un atto volitivo mediante cui la donna riprende dominio delle sue passioni e delle sue pulsioni. Ed è in questo gioco di continuo passaggio dal mondo fenomenico a quello interiore e viceversa, l’elemento di maggiore originalità della serie. Alla volte tale passaggio è totale, in altri casi e sono, forse, quelli più interessanti, esso avviene a livello puramente sonoro. Una musica, un ritmo, un rumore brusco di cui lo spettatore già conosce la chiave di interpretazione perché gli era stata preventivamente fornita, si impongono alla coscienza della protagonista come vere e proprie audiofanie dei suoi pensieri. Non che sia la prima volta che si ricorre ad un simile artificio, ma è la prima volta che esso viene sfruttato in maniera così intensiva in un’opera nata, per di più, sotto l’egida e i limiti del piccolo schermo. Per tutti questi motivi Ally McBeal è opera che merita la visione.

[Agosto 2002]


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