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Alone

Pubblicato il 30 gennaio 2014 da Alessandro Izzi
VOTO:


Alone

Girare ad altezza di bambino non è cosa facile.
Bisogna mettersi in punta di piedi e sporgere la testa oltre le balaustre rassicuranti dell’età adulta. Bisogna lasciarsi alle spalle le immagini zuccherose di una visione fin troppo deteriore dell’infanzia e avere il coraggio di sporcarsi gli occhi con quei brandelli di sogno tipici di chi da troppo poco tempo ha imparato a separare il “me” dal “te”. Bisogna convivere con l’esistenza, lì a due passi, di oasi di orrore e di buio che non ti spieghi. Perché per i bambini i mostri esistono davvero e spesso non c’è abbastanza magia per scacciarli.
Alone di Riccardo Cavani, questo sguardo ad altezza di bambino se lo prende addosso come una specie di predestinazione. Si confonde con esso in una comunione di intenti spaventosa eppure poetica. È il suo rischio e il suo brivido che corre pazzo nella schiena.
Alone parla ad altezza di bambino perché rifiuta ogni salvagente e si avventura nella sorpresa dello scoprirsi proprio mentre si fa.
Il regista non sa nulla quando accende la sua telecamera. Ha davanti una città sconosciuta, un bambino e una grammatica. Gli mancano una storia, dei personaggi, una direzione preconfezionata. Senza bussola cammina improvvisando.
Alone è ad altezza di bambino non perché segue un bambino, ma perché condivide con lui l’assenza di ogni struttura che gli sorregga lo sguardo. Attraversa lo spazio chiedendosi, come ogni bambino, perché. Senza la consolazione di qualche straccio di risposta, dal momento che gli adulti che gli stanno intorno, spazientiti nella loro indifferenza, non lo sentono neppure.
Così il bambino piano piano diventa storia, si innerva di racconto, diventa finzione, ma un tipo di finzione ben strano visto che sta così attaccato all’infanzia da confondersi col vero. I bambini, del resto, non sono mai attori: interpretano se stessi.
Nel frattempo, dall’altro lato c’è il resto del mondo filmato dal regista senza che neanche se ne accorga, come in un documentario. Un coro ostinato nei suoi riti sempre uguali, al bar come davanti alla chiesa.
E c’è, infine, un mostro, un pedofilo che, invece, è attore e sguardo. Un losco figuro che quel bambino lo nota subito, lo adesca, lo segue e, infine lo violenta lasciandolo solo, in pasto all’indifferenza della città che continua le sue processioni senza accorgersi che un racconto si è consumato.
Il mostro è, in fondo, lo sguardo stesso del regista che quel mostro, che vive nei dettagli delle sue scarpe di pelle che inchiodano l’asfalto, lo crea ad uso di una favola crudele che detta la sua morale ai soli adulti che l’infanzia la lasciano, nella migliore delle ipotesi, a morire davanti alla televisione.
Così la regia si innerva di violenza espressionista che trasforma spesso le inquadrature in piccoli urli munchiani che raccontano, col digitale leggero di una camera davvero stylo, tutto uno spaesamento, un’incertezza, una mancanza di punti fermi. Del bambino fatto oggetto di violenza come dello sguardo che lo filma.
In tutto questo anche le citazioni (l’ombra del pedofilo che si staglia sulla saracinesca chiusa di un negozio come in M di Fritz Lang, tanto per citare il caso più macroscopico) trovano il contesto giusto e non si limitano ad essere, come spesso accade, inerti dimostrazioni di presunta padronanza del mezzo.
Alone è un esperimento produttivo bello e importante che meriterebbe attenzione e rispetto.

Tweeting: Un corto capace di sporcarsi le mani con il lato oscuro della fine dell’infanzia senza indulgenza e compiacimenti.

Where to: Su Youtube e sul sito del regista


(Alone); Regia: Riccardo Cavani; interpreti: Giuseppe Cipolla, Salvatore Scolaro; origine: Italia 2011; durata: 5’


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