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Venezia 77 - Amants

Pubblicato il 4 settembre 2020 da Francesca Pistocchi

VOTO:

Venezia 77 - Amants

Se i Lacci emotivi con cui il Festival ha esordito sembravano dipanarsi sul vuoto esistenziale di una famiglia d’estranei, quelli di Nicole Garcia invece presentano l’audace concretezza che alla pellicola di Luchetti tutto sommato mancava.

Amants parte, a grandi linee, da un intreccio analogo ma dalle dinamiche diametralmente opposte: Lisa (Stacy Martin) e Simon (Pierre Niney) sono innamorati dai tempi dell’adolescenza. Lei lavora a scuola, lui vende cocaina al bel mondo parigino. Contrariamente alle aspettative di genere, la loro vita non pare avere quasi nulla di dissoluto: i due si muovono su una dimensione parallela sospesa fra quotidianità e gioco d’azzardo, un universo su misura di cui i protagonisti hanno sempre fatto parte e forse da loro appositamente creato. Non mancano gli amici, la famiglia – il padre di Lisa in particolare, militare perennemente all’estero – e nemmeno qualche scampolo di progetto per il futuro.
Al di sotto di un’atmosfera dai tratti surreali, tuttavia, emerge immediatamente la sostanziale instabilità del legame che li unisce: che Simon non sia in grado di offrire alla sua giovane amante un’esistenza stabile è chiaro fin dall’inizio, ma a lei questo non importa e anzi, lo accetta proprio perché fa parte del suo concetto di normalità. A offuscare i toni chiaroscuri di una follia fin troppo piacevole sarà la realtà stessa, in tal caso incarnata da un figlio di papà che muore d’overdose a causa di una striscia di cocaina probabilmente tagliata male.
Da quel momento in poi, il microcosmo degli amanti implode e Simon si vede costretto a scappare lasciando a casa la fidanzata. Gettata fuori di punto in bianco da quel fragile equilibrio, Lisa sparisce e sprofonda nei meandri della capitale francese, muovendosi come uno spettro fra le quattro mura dell’ennesimo appartamento sconosciuto che abbandona soltanto a notte inoltrata per ricoprire l’incarico di guardarobiera in un night club. Qui incontra Leo (Benoît Magimel), un ricco assicuratore che prende la ragazza sotto la propria ala protettrice. Ma i lacci che vincolano Lisa e Simon non si spezzano così facilmente e infatti, tre anni dopo, gli ex amanti si ritrovano in un paradiso tropicale. Nulla è cambiato, tutto è cambiato: lei vaga in un luogo che non le appartiene, lui si barcamena fra i debiti e il nuovo impiego come guida turistica in un albergo di lusso. Qualcosa si è inevitabilmente spezzato e i due tentano di riordinare i cocci del precedente rapporto senza però esserne veramente consapevoli.
La stentata stabilità su cui i protagonisti si muovevano fin troppo agilmente non è più recuperabile e il microcosmo inizia a distorcersi: la relazione clandestina, l’infelicità coniugale di Lisa, l’attività criminale di Simon ormai ridotta a ciò che realmente è – una serie di piccoli traffici illeciti, un continuo susseguirsi di camere d’albergo sempre più squallide. Sopra alla nuova costellazione, Leo regna sovrano e pensa di muovere i personaggi come fossero marionette. I fili del destino tracciati da Garcia scorrono soltanto sulla scia del denaro, forse unico vero "metteur en scène" di questo triangolo amoroso in cui non è contemplata nessuna via d’uscita. È il denaro che plasma i sogni di Lisa e Simon, è il denaro che spinge la donna fra le braccia di un altro, è il denaro che spinge gli uomini a lasciarsi, incontrarsi, tradirsi, ed è ancora una volta il denaro a decidere il grado di lontananza che separa un individuo da un altro.

L’ambiente in cui tutti i personaggi sembrano quasi danzare è quello di un sottobosco fosco e cinico in bilico fra verità e aspettative fin troppo alte per risultare credibili – tanto agli occhi delle vittime quanto agli occhi dei carnefici. Leo è convinto di avere il controllo assoluto sulla giovane moglie, ma si sbaglia. Simon vagabonda nell’ombra di un amore adolescenziale in fondo finito da tempo, o almeno parzialmente distrutto. Lisa può forse definirsi l’unica maschera veramente pensante della pièce, ma la sua evoluzione è più lenta e sofferta di quanto ella stessa si diverta ad immaginare.

All’interno di una simile cornice non c’è posto per luoghi fisici, né per ricordi cronologicamente delineati – e infatti le uniche indicazioni spaziotemporali ce le fornisce la regista, dividendo l’opera in tre atti: Parigi, Oceano Indiano, Ginevra. L’abilità di chi allestisce il dramma è proprio quello di sfiorare appena il cliché di genere senza sfociare nella ridondanza: i dialoghi vengono appena accennati, come se nessuno avesse nulla di nuovo da raccontarsi, gli interni ignoti e fumosi appaiono degni di un perfetto noir (lo stesso, forse, che i due innamorati si godono sul proiettore di casa quando ancora la loro routine sembrava distante da ogni tragedia).

Eppure, il finale prevede un inatteso colpo di scena. A ribaltarsi non è tanto la mera narrazione (come più banalmente accade in Lacci), quanto lo status emotivo di Lisa, giunta alla fine di un doloroso percorso di ascesa e decadenza. La logica prestabilita si capovolge, e all’epilogo del triangolo è proprio il denaro ad essere vittima di un tradimento che rimetterà ordine fra le carte in tavola. Il titolo francese della pellicola è – guarda caso! – Lisa Redler: per Garcia come per la nostra protagonista, è dunque possibile spezzare le catene di un fato che forse nemmeno esiste.


CAST & CREDITS

(Amants); Regia: Nicole Garcia; sceneggiatura: Nicole Garcia, Jacques Fieschi; fotografia: Christophe Beaucarne; montaggio: Frédéric Baillehaiche, Juliette Welfling; interpreti: Pierre Niney (Simon), Stacy Martin (Lisa), Benoît Magimel (Leo); produzione: Les Films Pelléas (Philippe Martin, David Thion), France 3 Cinéma, Mars Film, Véronique et François Mallet, LDRP, Impala, Victoire Newman, Pauline’s Angel; origine: Francia 2019; durata: 103’


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