X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



American horror story: 1984 - Teste di Serie

Pubblicato il 20 novembre 2019 da Stefano Colagiovanni
VOTO:


American horror story: 1984 - Teste di Serie

«Racconta le storie di fantasmi ai tuoi figli e non dimenticarci. Gli anni Ottanta non moriranno mai!»
(Montana)

Slasher

La nona stagione della serie antologica per eccellenza degli anni Duemila, quella American horror story tanto cara ai fan del macabro e, ancor di più, agli ammiratori del lavoro di Ryan Murphy e di Brad Falchuk, è dura a morire. Anzi, a morire sono quasi tutti i personaggi protagonisti di questa nuova tornata di episodi, in un valzer splatter-vintage di coltellate, accettate, fucilate e chi più ne ha, più ne metta.

Siamo nel bel mezzo dei patinati e luccicanti anni Ottanta, nel 1984 per la precisione – da qui il titolo della nona stagione: cinque ragazzi si mettono in viaggio per Camp Redwood, un campeggio per i più piccoli, teatro di efferati omicidi anni addietro, ora riaperto per dare nuovo lustro alla location e riavviare un business apparentemente (ri)portato avanti più per scacciare paure ancestrali, che fare business – e, alla fine dei giochi, né l’obbiettivo taumaturgico, né tanto l’aspetto economico riusciranno a emergere, sormontati dalla scellerata furia omicida della spietata Margaret Booth (Leslie Grossman), organizzatrice-architetto di una strage reiterata. A braccare la storia e i giovani scavezzacollo, ognuno con un passato o torbidi intenti personali nascosti, un serial killer apparentemente invincibile, Mister Tintinnio…

A una lettura anche frettolosa della trama così com’è stata presentata, sarebbe facile e immediato considerare 1984 una semplicistica operazione revival in stile Stranger things. Eppure, nonostante l’accostamento debba essere inteso come un complimento, considerata la qualità espressiva e formale della serie ideata dai Duffer Brothers, i nove episodi orchestrati da Murphy e Falchuk assumono con il trascorrere del minutaggio una valenza ben superiore alla schietta rimasticazione di genere e di ambientazione. Perché 1984 è, prima di tutto, una rilettura che non propone nulla di già visto, ma tenta in ogni modo di invertire e sovvertire quei canoni tanto cari al genere slasher, viatico socio-politico del genere horror nato e defunto negli anni Ottanta: iniziando dalla figura del serial killer Mister Tintinnio (John Carroll Lynch), antagonista poi protagonista del primo grande plot-twist, mutuato al ruolo di vittima alla mercé di una folta schiera di protagonisti e comprimari che sembrano, invero, conoscere alla perfezione le regole del gioco-splatter.

Ed è questa la stella polare seguita da Murphy e Falchuk per la nona stagione di American horror story, ovvero tentare e riuscire in un’operazione quasi metacinematografica, in cui ogni personaggio in gioco ricopre un ruolo fittizio all’apparenza, in verità speculare a quello che la storia del cinema avrebbe assegnato a ognuno. Grazie a questa serie di cambi di passo, gli showrunner confezionano un pregevole omaggio al genere slasher, non dimenticandosi di affondare le mani grondanti sangue nel tessuto socio-culturale violento dal quale lo slasher è emerso – affascinante come Mister Tintinnio sia, in realtà, un falso “prodotto” della guerra del Vietnam -, tentando in un ultimo e disperato gemito che assume i connotati di una richiesta d’aiuto, di riscoprire un genere tanto proficuo, quanto rapidamente esauritosi con la scadenza degli Ottanta. E, a maggior riprova, gli easter eggs e le citazioni inserite nel tessuto narrativo di 1984 sono continue e, a volte, addirittura geniali – su tutte il fratellino defunto di Benjamin Richter/Mister Tintinnio, che emerge dal lago di Camp Redwood emulando anche in rallenty lo spaventoso assalto finale del piccolo Jason Voohrees in Venerdì 13 di Sean S. Cunningham, uno dei film caposaldo del genere, a cui 1984 si ispira anche fin troppo liberamente, ribaltandone eccessi e struttura drammaturgica.

Divertente e schizofrenica, anche se a tratti vittima di inutili lungaggini espositive, 1984 è l’ennesima prova del talento di due autori che non tentano semplicemente di tenere in vita una serie televisiva che, a tratti, è incappata in momenti di avvertibile stanchezza, ma provano con insistenza a scioccare e stuzzicare l’immaginario di una certa fetta di accaniti spettatori, continuando a sviscerare la piaga nel petto della storia americana. Con buona pace dei patinati, luccicanti e sanguinosi anni Ottanta.


(American horror story: 1984); genere: horror; showrunner: Ryan Murphy, Brad Falchuk; stagioni: 9 (serie antologica; in attesa di rinnovo); episodi nona stagione: 9; interpreti: Emma Roberts, Billie Lourd, Leslie Grossman, Cody Fern, Matthew Morrison, Gus Kenworthy, John Carroll Lynch, Angelica Ross, Zach Villa, Finn Wittrock; produzione: 20th Century Fox Television, Ryan Murphy Productions; network: FX (U.S.A., 18 settembre - 13 novembre 2019), FOX (Italia, 7 novembre 2019 - 2 gennaio 2020); origine: U.S.A., 2019; durata: 30’-45’ per episodio; episodio cult nona stagione: 9x04 - True killers


Enregistrer au format PDF