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Americana - Fringe

Pubblicato il 21 marzo 2010 da Nicola Lazzerotti


Americana - Fringe

Cosa succederebbe se qualcosa di inspiegabile, soprannaturale e sconvolgente accadesse nelle vostre vite? Qualcosa che la scienza - almeno quella cui le persone comuni hanno accesso - non sarebbe in grado di spiegare? Fringe è in fondo questo, una serie improntata su una concezione nichilista del mondo in cui gli eventi inspiegabili sono frutto di un inaccessibile segreto, conservato nelle segrete stanze di una multinazionale della ricerca che impiega le proprie risorse per scopi non del tutto chiari o moralmente accettabili.

Una notte l’agente dell’FBI Olivia Dunham (Anna Torv) viene convocata dal sovrintendente e suo diretto capo, Phillip Broyles (Lance Reddick), per indagare su di un incidente aereo dalle cause inspiegabili. Per portare avanti la misteriosa indagine la donna dovrà però affidarsi al talento di uno scienziato, il Dott. Walter Bishop (John Noble), tanto unico e speciale quanto instabile psicologicamente, rinchiuso in un ospedale psichiatrico da diversi anni. Il precario stato mentale dell’uomo impone all’agente Dunham di rivolgersi al figlio dello scienziato, il dinamico e scaltro truffatore internazionale Peter Bishop (Joshua Jackson), l’unica persona in grado di potersi prendere cura del padre.
Sono questi dunque i componenti della divisione ’Fringe’, impiegati cioè in quei casi dove si impone un’analisi di scienza di confine, lontani dai metodi tradizionali e, per certi versi, avanguardisti. A recitare un ruolo determinante nelle vicende di questo team sarà la Massive Dynamic, una multinazionale potentissima fondata dall’amico e collega di ricerca di Walter Bishop, il dott. William Bell (la cui identità sarà svelata solo nell’ultima puntata della prima stagione) e guidata da Nina Sharp (Blair Brown), una figura ambigua e manipolatrice i cui intenti e coinvolgimenti non sono mai del tutto chiari.

Debitrice di X-Files, implicitamente (nella sostanza) ed esplicitamente (nella forma), questa serie ne rammenta non pochi elementi, primo fra tutti la struttura: in entrambi i casi esiste un ordito cospirativo sconosciuto e un manipolo di persone che agisce per far luce sulla questione; vi è poi un’atmosfera gotica, mentre la storia è improntata sull’elemento del paranormale e del fantastico/fantascientifico.
Ma è proprio sull’elemento “cospirativo” che bisognerebbe soffermarsi a ragionare. Se è vero che questo ciclicamente viene portato sullo schermo televisivo, va detto che si tratta di un carattere cui la popolazione americana è molto sensibile. X-Files era figlio della rinascita democratica americana degli anni ’90 all’insegna di una sorta di nuovo umanesimo culturale: con il primato dell’individuo e dell’istituzione civile a cui questo aspirava non c’era più un nemico oltre la cortina di ferro (un elemento invece ricorrente delle produzioni anni ’80), ma solo esseri umani che, uniti, dovevano affrontare il loro destino. Così gli alieni divennero i nuovi nemici, metafora non più, come nel b-movie anni ’50, del pericolo rosso, ma di un futuro incerto, tutto nelle mani dell’umanità. Ma dopo l’11 settembre questo status venne a decadere e il pubblico americano ferito si compattò e affidò le proprie speranze e la propria fiducia nelle istituzioni, fatto di cui il secondo mandato a Bush è stato una prova più che evidente. E la televisione rappresentò con le sue produzioni una chiara cartina di tornasole: programmi fortemente satirici col sistema americano, come Futurama e I Griffin (Family Guy), subirono alcuni stop dovuti ai cali d’ascolto, mentre la cancellazione di un’eccellente serie di fantascienza come Firefly è da imputarsi, secondo l’opinione di molti critici, proprio a una disaffezione del pubblico verso storie che avevano come elemento portante una certa sfiducia nelle istituzioni.
Inoltre, per meglio evidenziare la filiazione tra X-Files e Fringe, basta ricordare come gli autori di quest’ultimo abbiano evidenziato il loro tributo alla serie creata da Chris Carter: nella prima puntata della seconda stagione infatti si intravedono, su un televisore, proprio le immagini del predecessore e, nella stessa puntata, Broyles si lamenta con i propri capi per la decisione di voler chiudere la sezione Fringe dopo che già era sta chiusa la sezione X.

Al di là della sua genia e della sua essenza, Fringe è soprattutto una grande opera di fantascienza, come non se ne vedevano da tanto tempo. Merito va innanzi tutto al valore e al lavoro dei suoi creatori. Il trio Abrams, Kurtzman e Orci (insieme dai tempi di Alias) e tutta insieme la Bad Robot (la società di Abrams) che produce la serie, hanno saputo confezionare un’opera sofisticata e matura, capace di svecchiare il genere e modernizzarlo. Tanto è l’impegno profuso a riguardo che la Fox ha assicurato che non sospenderà la serie – costosissima - nonostante gli ascolti non siano tra i migliori. A dare un’ulteriore spinta concorrono due elementi, ossia il ritorno attesissimo a una serie televisiva di Joshua Jackson (il Pacey Witter di Dawson’s Creek) e, soprattutto, la decisione da parte del management della Fox e dei produttori di lanciare Fringe attraverso un’operazione di marketing d’avanguardia: una copia pirata del pilot cominciò a circolare nel circuito peer to peer circa cinque mesi prima della messa in onda; quasi un milione di download dell’episodio nel mondo in pochi giorni certificarono l’interesse mondiale per questo prodotto, che divenne anche per questo un’opera più legata a un pubblico di nicchia (maggiormente legato a un target giovane e tecnologicamente avanzato), piuttosto che a uno più ampio e popolare.


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